Le differenze di genere nell’ambito della crioablazione

La procedura di isolamento delle vene polmonari mediante crioablazione per il trattamento della Fibrillazione Atriale è ugualmente sicura nei pazienti di genere maschile e femminile. Sembrerebbe esistere una differenza di genere, invece, per quanto riguarda l’efficacia a lungo termine. Sono stati pubblicati sul Journal of Interventional Cardiac Electrophysiology i risultati di un’analisi osservazionale multicentrica realizzata nel contesto del progetto 1STOP (1).
Sono stati inclusi 2.125 pazienti sottoposti a procedura di isolamento delle vene polmonari mediante crioablazione presso 47 centri cardiologi italiani, il 27% dei quali di genere femminile e caratterizzati da un età media di 59 ± 11 anni. Rispetto agli uomini, le donne incluse nell’analisi avevano in media un’età maggiore, score di rischio clinico più elevati (es. CHA2DS2-VASC) e un numero maggiore di farmaci anti-aritmici provati prima di sottoporsi alla procedura.
Non sono emerse differenze significative tra soggetti di genere maschile e femminile in termini di durata della procedura (109 minuti vs. 105 minuti; p = 0,062) e di incidenza di complicanze peri-procedurali, anche tenendo conto delle caratteristiche di base dei pazienti (p = 0,880). Tuttavia, al follow up di 16,8 ± 13.9 mesi il genere è risultato essere il predittore più forte per quanto riguarda l’incidenza di recidive della Fibrillazione Atriale, risultata più elevata tra le donne (20,5 vs. 18,1 su 100 pazienti; p = 0,011).
“Un’analisi tutta italiana che avvalora il concetto di medicina di genere. Davvero interessanti le differenze cliniche e di outcome nei pazienti del progetto 1STOP sottoposti a crioablazione delle vene polmonari”, commenta Danilo Ricciardi del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma.
Bibliografia
1. Ricciardi D, Arena G, Verlato R, et al. Sex effect on efficacy of pulmonary vein cryoablation in patients with atrial fibrillation: data from the multicenter real-world 1STOP project. J Inter Cardiac Electr 2019; 56: 9–18