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Epidemiologia e gestione della FA in Italia

Intervista a Massimo Zoni-Berisso, Responsabile Struttura Semplice di Aritmologia Asl 3 genovese.

La prevalenza della fibrillazione atriale è circa il doppio di quella riportata in letteratura, l’uso della terapia anticoagulante orale è tuttora sottoutilizzata. Questi e altri i risultati della survey italiana sui percorsi diagnostici e terapeutici per la cura della fibrillazione atriale, realizzata dall’Area Aritmie dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) con la Società Italiana di Medicina Generale (SIMG). Ne parliamo con il collega Massimo Zoni-Berisso, primo nome dello studio pubblicato nel 2013 sull’American Journal of Cardiology (studio ISAF: Italian Survey of Atrial Fibrillation).

Dottor Zoni Berisso, perché si era reso necessario questo studio?
Per poter conoscere il reale impatto della fibrillazione atriale sul Sistema Sanitario Nazionale, per poter avere elementi utili per allocare le risorse umane ed economiche atte a gestire la FA in modo ottimale e per identificare i punti critici nello snodo gestionale eventualmente da correggere

Come è stata condotto la survey ISAF?
È stata condotta grazie a una rete di medici di medicina generale (MMG) che rappresentano una fonte unica di informazioni sulle caratteristiche cliniche, le strategie terapeutiche e le risorse utilizzate per la gestione complessiva dei pazienti con fibrillazione atriale (FA). In tutto sono stati coinvolti 233 MMG, omogeneamente distribuiti sul territorio nazionale e dotati di un sistema informatizzato e integrato in rete di gestione della cartella clinica (sistema MilleWin). Al fine di disporre della totalità dei dati richiesti nel protocollo di studio, è stato messo a punto un programma specifico per la raccolta automatica delle informazioni di base e di quelle eventualmente non incluse nella cartella clinica elettronica (ad esempio: il tipo di strategia terapeutica adottata, se il MMG ha gestito in proprio il paziente oppure se si è avvalso della consulenza di specialisti come cardiologi ospedalieri, cardiologi sul territorio, geriatri, medici di medicina interna, ecc.). Sono stati valutati circa 300.000 soggetti iscritti al Sistema Sanitario Nazionale e sono stati individuati circa 6000 pazienti con fibrillazione atriale. Il campione screenato è risultato rappresentativo della popolazione italiana con una distribuzione relativamente a sesso e a età simile ai dati ISTAT. Pertanto i risultati che abbiamo ottenuto possono essere ritenuti rappresentativi della popolazione italiana.

Qual è il quadro epidemiologico della fibrillazione atriale in Italia?
Un primo dato epidemiologico importante emerso dalla survey è sicuramente quello della prevalenza della FA. Studi pubblicati una quindicina di anni fa riportavano una prevalenza nella popolazione generale dello 0,5-1%: ad esempio, dello 0,95% nello studio nordamericano ATRIA e dello 0,94% nello studio sulla popolazione generale scozzese condotto da Murphy e coll. Tuttavia in base ai numeri dei ricoveri ospedalieri e di visite specialistiche per FA riportate nella letteratura più recente, l’impressione era che la prevalenza della fibrillazione atriale fosse sicuramente maggiore di quanto riportato solo un decennio fa. Infatti la survey ha rilevato che su un totale di 295.906 pazienti, 6036 avevano una diagnosi di FA pari quindi al 2,04%. Proiettando questa cruda percentuale di frequenza all’intera popolazione italiana con età maggiore o uguale a 15 anni, abbiamo calcolato una prevalenza della FA in Italia dell’1,85%. Dunque il doppio di quanto prima riportato.

Questo aumento della prevalenza di FA riguarda solo il nostro Paese?
Non esattamente. L’1,85% di FA stimato nella popolazione italiana è coerente con altre percentuali calcolate in alcuni paesi europei. In contemporanea al nostro lavoro, nel 2013 sono stati pubblicati altri tre studi con dati di prevalenza della FA sovrapponibili: in Inghilterra la prevalenza è risultata dell’1,8%, in Germania del 2% e in Svezia del 2,9%.

Quale forme di FA sono più frequenti? Quali sono i sottogruppi di popolazione con una più alta prevalenza di FA?
Nel 55,5% dei casi si trattava di FA permanente o cronica, nel 24,3% persistente e nel 20,2% parossistica. L’analisi per aree geografiche ha evidenziato un tasso di prevalenza decrescente da Nord a Sud passando dal 2,4% di FA nelle regioni settentrionali all’1,8-1,9% in quelle meridionali e nelle Isole. Come atteso le percentuali di pazienti con FA aumentavano al crescere dell’età: con una prevalenza dello 0,16% nel sottogruppo di pazienti con età compresa tra i 16 e i 50 anni, del 4-5% nel sottogruppo con età tra 65 e i 75 anni, 9,0% nel sottogruppo con età tra i 76 e 85 anni e del 10,7% nel sottogruppo con età ≥ 85 anni.
Qual è il profilo clinico del paziente italiano con FA?
I pazienti con FA sono spesso fragili e compromessi da un punto di vista generale. Per la maggior parte sono anziani, con cardiopatia in una alta percentuale di casi (ischemica nel 19%, dilatativa ischemica e non nel 6%, malattia valvolare nel 12%, ipertrofia ventricolare sinistra nel 35%) e con un alto tasso di comorbilità. I dati raccolti evidenziano infatti che il 75% dei pazienti con FA presenta ipertensione arteriosa, il 26,8% insufficienza renale, il 25% diabete e il 20-25% broncopneumopatie ostruttive croniche e il 25% scompenso cardiaco. Abbiamo rilevato che almeno un terzo dei pazienti con FA presenta 3 o più comorbidità associate. C’è da aggiungere che a rendere più complesso il quadro clinico di questi pazienti si associa anche la frequente presenza di problemi di carattere neurologico. I pazienti con FA sono infatti più a rischio di sviluppare eventi tromboembolici e di sviluppare deficit cognitivo e demenza. Dei pazienti screenati nella nostra survey, il 18% aveva avuto un TIA o un ictus e il 15% una diagnosi di disturbi cognitivi. Anche queste sono percentuali in linea con quanto riportato nella letteratura internazionale. Infine, la FA è una condizione che influenza molto la qualità della vita perché, nonostante l’assunzione di terapia, essa rimane più o meno sintomatica in circa due terzi dei pazienti.

Per quanto riguarda la gestione della FA, nella popolazione che avete screenato prevaleva il controllo del ritmo o quella della frequenza?
Nel 55% dei pazienti con FA era stata adottata la strategia del controllo della frequenza, nel rimanente 45% la strategia del controllo del ritmo. Queste percentuali sono paragonabili a quelle americane che riportano il controllo del ritmo nel 48% dei pazienti fibrillanti, ma sono piuttosto distanti da quelle della Germania dove il controllo del ritmo avviene solo nel 20%. Questa marcata differenza potrebbe essere spiegata da una diversa attitudine dei medici tedeschi a gestire questa aritmia. Le nostre percentuali rispecchiano una gestione che più si avvicina alle indicazioni delle linee guida della società europea di cardiologia e di quella americana in cui si invita a cercare di mantenere quanto più possibile il ritmo sinusale con il minor consumo di farmaci antiaritmici.

L’utilizzo della terapia anticoagulante rispecchia le indicazioni delle linee-guida?
Non ancora, purtroppo. Soltanto il 45% dei pazienti era in terapia anticoagulante orale con una netta differenza tra il sottogruppo di pazienti che era in controllo del ritmo e quello in controllo della frequenza. Abbiamo infatti riscontrato che riceveva la terapia anticoagulanti solo il 50% dei pazienti in controllo del ritmo con CHADS2 > 2 e quindi ad alto rischio tromboembolico. Il rimanente 50% non riceveva nessuna profilassi oppure era trattato con antiaggreganti orali e tra questi solo una volta su due il MMG aveva giustificato la scelta in modo appropriato (per controindicazioni o per problemi logistici). È proprio su questo dato che serve intervenire per migliorare la gestione del paziente con FA per ridurre il rischio trombo embolico. Per quanto riguarda invece l’utilizzo della terapia anticoagulante nel sottogruppo di pazienti in controllo delle frequenza, abbiamo un risultato migliore: circa due terzi di questi pazienti ricevono la terapia anticoagulante, un terzo non la riceve e anche in questo caso non sempre la scelta del non utilizzo dell’anticoagulante orale era motivata dal MMG.

Per quanto riguarda invece l’impiego della ablazione transcatetere?
Dallo studio ISAF è emerso che l’ablazione transcatetere è stata utilizzata nel 2,8% dell’intera popolazione di pazienti con FA (6.5% di quelli indirizzati alla strategia del controllo del ritmo) con una percentuale di successo del 50%. I risultati si riferiscono alle ablazioni effettuate nei cinque anni precedenti la survey. I pazienti sottoposti ad ablazione erano prevalentemente affetti da FA persistente (80% dei casi), dato che differisce significativamente dal 40% riportato da Cappato e coll nella sua survey. Questo risultato può essere spiegato dal fatto che nella survey di Cappato e coll ci si riferisce all’esperienza di centri di riferimento e riguarda pazienti trattati anche parecchio tempo prima quando l’ablazione era praticamente riservata alla forma parossistica. Un altro dato interessante è che l’efficacia della ablazione nella nostra popolazione (50%) è più bassa di quella riportata nella survey di Cappato. Questo nostro dato è però vicino al 65% riportato nella survey di Shah e coll che riguarda i risultati di tutti i centri di aritmologia della California. Tuttavia, lo studio ISAF non era stato disegnato per valutare specificatamente l’impatto dell’ablazione transcatetere della fibrillazione atriale.

Qual è il ruolo del medico di medicina generale nella gestione del paziente con fibrillazione atriale?
Tra le diverse figure sanitarie importanti e necessarie per la gestione del processo di cura del paziente con FA, il MMG ha una funzione sicuramente importante – in particolare per quanto riguarda la gestione della terapia anticoagulante orale. Così come suggerito dalle loro Linee Guida a loro si chiede non tanto la scelta della strategia antiaritmica da seguire, quanto di seguire il paziente negli aggiustamenti dei dosaggi e delle conseguenze avverse. Lo studio ISAF ha evidenziato un sottoutilizzo della terapia anticoagulante che però non è sempre da attribuire al MMG. Questo è comunque un punto delicato su cui si dovrebbe intervenire con maggiore intensità educativa. Con l’avvento dei nuovi anticoagulanti orali la gestione della terapia dovrebbe essere più semplice poiché non sono richiesti controlli periodici pressanti e una informazione attenta sulla dieta alimentare da perseguire.
Dalla nostra survey è emerso anche che i MMG nel 80% dei casi si rivolgono a specialisti (cardiologi o internisti) per la scelta della strategia terapeutica antiaritmica perché la complessità del paziente con FA rende la scelta complessa. Inoltre è emerso che i MMG si trovano più in difficoltà nella gestione della strategia del controllo del ritmo che di quello della frequenza. La collaborazione con gli specialisti è dunque cruciale e deve essere promossa e facilitata individuando dei percorsi territorio-ospedale per i pazienti

Tirando le somme, qual è il messaggio che vuole dare questo studio italiano in merito alla gestione della FA?

Le conclusioni principali dello studio sono che la prevalenza della FA è circa il doppio di quanto riportato negli ultimi anni. La FA può e deve essere considerata una endemia: soprattutto nella popolazione con più di 65 anni la prevalenza della FA è destinata ad aumentare. Si stima che se oggi in Europa su 500 milioni di persone circa 10 milioni hanno la FA, nel 2030 saranno 15-20 milioni più o meno. Da questi pronostici deriva la constatazione che i costi sanitari della FA andranno continuamente aumentando.
Il costo medio della gestione del paziente con FA è di 3.000-3.200 euro all’anno. Ma il problema della gestione della FA non è solo economico; è ancor prima un problema di tipo organizzativo che dobbiamo valutare alla luce di queste previsioni. La gestione della FA richiede strutture e personale qualificato. E già ora gli ambulatori di aritmologia stanno letteralmente scoppiando dal numero di pazienti con FA che devono essere gestiti, mentre sono in aumento gli accessi al Pronto soccorso e i ricoveri ospedalieri per attacchi di FA. Diventa,dunque, fondamentale impostare strategie che riducano incidenza e impatto sociale di questa patologia e ne migliorino la gestione per assicurare le cure appropriate e ridurre gli sprechi.

Bibliografia
Zoni-Berisso M, Filippi A, Landolina M, et al. Frequency, patient characteristics, treatment strategies, and resource usage of atrial fibrillation (from the Italian Survey of Atrial Fibrillation Management [ISAF] study). Am J Cardiol 2013; 111: 705-11.

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