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Gli infermieri all'ESC 2016

Negli ultimi giorni di agosto, si è tenuto a Roma il meeting scientifico più grande ed influente nel panorama della cardiologia internazionale, il Congresso della Società Europea di Cardiologia, richiamando più di 33 mila professionisti da tutto il mondo. Highlight del congresso la presentazione delle quattro nuove linee guida sulla fibrillazione atriale, le dislipidemie, la prevenzione del rischio cardiovascolare e lo scompenso cardiaco acuto e cronico.

Tanti i simposi infermieristici, interessanti quelli sulla sedentarietà e l’importanza del movimento, sulla nutrizione e il fumo. Simposi che vedono l’infermiere protagonista nella prevenzione: un’educazione alla salute per aumentare la consapevolezza individuale relativamente alla propria salute, favorendo il cambiamento verso buone abitudini di vita. Promuovere un cambiamento sociale in grado di modificare la qualità di vita è un compito difficile ma l’infermiere, in questo, può essere determinante.

Punto focale di questa edizione congressuale è stata l’importanza del lavoro di squadra in un approccio multidisciplinare nella cura delle malattie cardiovascolari con sessioni infermieristiche dedicate alla gestione di casi clinici. Una interessante sessione è stata quella del ruolo dell’infermiere come parte dell’Heart Team, una disamina sull’educazione del paziente e sul fine vita. Jenny Tagney, cardiology nurse consultant presso la University Hospitals Bristol NHS Foundation Trust, ha discusso di educazione alla persona con device impiantabile, sottolineando come il follow up ambulatoriale è occasione per individuare e affrontare specifiche preoccupazioni del paziente e come il personale infermieristico, con una buona comunicazione e informazione favorisca, la consapevolezza e l’autonomia del paziente nella sua malattia. Paola di Giulio dell’Istituto Mario Negri di Milano ci ha fatto riflettere sulla presenza della depressione nel paziente scompensato e come la sua presenza sia da ostacolo nella compliance del paziente.

Educazione al paziente anche per ridurre le re-ospedalizzazioni. In Italia circa il 5% dei ricoveri è costituito dalla re-ospedalizzazione a 30 giorni dalla dimissione, complicanza dovuta in genere a una cattiva gestione delle prime dimissioni e che determina una riduzione della qualità dell’assistenza ed uno spreco delle risorse economiche. Per evitare questo fenomeno essenziale il coinvolgimento del paziente con interventi pre-dimissione (educazione del paziente alla sua malattia, dimissione protetta e “riconciliazione” delle terapie farmacologiche, processo che permette di definire una prescrizione farmacologica appropriata e sicura per il paziente partendo dal confronto tra la lista dei farmaci assunti e quelli che dovrebbero essere somministrati al paziente) e con interventi post-dimissione (presa in carico da parte delle cure primarie, follow-up ambulatoriale e/o telefonico con l’ambulatorio dello scompenso e/o l’ambulatorio per il controllo pacemaker/defibrillatori, interventi con la continuità assistenziale tra ospedale e territorio).

Advocacy nel fine vita, il “prendersi cura” al fine di garantire prioritariamente le necessità del paziente cardiologico quando si trova nella fase end stage, fase in cui è fondamentale il controllo del dolore ed in generale dei problemi psicologici, sociali e spirituali. Fase che deve risultare priva di sofferenze evitabili per il malato e la famiglia e coerente con gli standard clinici, culturali ed etici della medicina. A riguardo Loreena Hill, dell’Institute of Nursing and Health Research dell’università di Ulster, ha parlato di disattivazione del defibrillatore impiantato nel fine vita del paziente, delucidando le possibili cause della non disattivazione. Due di queste: la scarsa informazione delle funzionalità del dispositivo e della possibilità di disattivazione quando il trattamento diventa inconsistente rispetto alle prospettive di vita del paziente; la mancanza di tempo adeguato per la comunicazione con il paziente e la famiglia nel fine vita. La Hill ci ricorda che il tempo dedicato all’informazione, alla comunicazione e alla relazione è tempo di cura.

Un congresso che ha sottolineato ancora una volta, l’approccio di squadra: concetto importante per la resilienza organizzativa poiché nei sistemi sanitari odierni sempre più complessi, un singolo gruppo professionale non può fornire un continuum di assistenza centrata sulla persona – al contrario, le relazioni e le consulenze sono elementi necessari per avere coordinamento e continuità delle cure. I benefici di un approccio di squadra comprendono: migliori esiti di salute, aumentata soddisfazione del personale e riduzione dei costi economici sanitari (Mezzich et al, 2015). Tutto ciò contribuisce a rendere le organizzazioni sanitarie più resilienti, più abili a prepararsi, a rispondere e adattarsi al cambiamento crescente al fine di sopravvivere e ad avere successo.

Infine l’ESC 2016 ha avuto anche l’onore di avere la visita di Papa Francesco, la prima di un pontefice a un congresso di medicina. Papa Bergoglio si è soffermato sulla coesione tra ricerca scientifica e visione alla totalità dell’essere umano, sottolineando l’importanza della ricerca scientifica per la vita e la salute dell’uomo e ricordandoci di assistere guardando l’uomo nella sua totalità.

Greta Scaboro
Centro per il controllo di pacemaker e ICD
UOSD Elettrofisiologia ed Elettrostimolazione
Ospedale dell’Angelo, Mestre – Venezia

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