Notizie e commenti

Le fotografie di EP Wire: tecniche di imaging, screening e arresto cardiaco extraospedaliero

Intervista ad Alessandro Proclemer, Azienda Ospedaliero Universitaria “S. Maria della Misericordia” and IRCAB Foundation, SOC Cardiologia, Udine, Registro IRIDE.

Il gruppo di studio Scientific Initiative Commettee dell’European Heart Rythm Association (EHRA) ha come mandato principale sensibilizzare i centri di Aritmologia europei alla diffusione delle pratiche diagnostiche e terapeutiche nel campo dell’elettrofisiologia e di fotografare la realtà clinica nel campo della diagnosi e della terapia avanzata dei disturbi del ritmo cardiaco. Tra le ultime survey EP Wire: le tecniche di imaging, lo screening dei pazienti a rischio di morte improvvisa e le vittime di arresto cardiaco ed extraospedaliero.

Trentacinque centri di aritmologia europei hanno risposto all’ultima survey di EP Wire sull’uso delle tecniche di imaging che vengono utilizzate sia nel campo della diagnostica elettrofisiologica che in quello degli impianti di pacemaker e defibrillatori (1).
La sintesi di questa rassegna è che a livello europeo vengono utilizzate tutte le tecniche di imaging attualmente a disposizione non solo nel campo dell’elettrofisiologia ma anche nel campo della terapia di resincronizzazione. Relativamente al campo della diagnostica elettrofisiologica è emerso che l’88% dei centri ha utilizzato l’ecografia transtoracica per valutare le dimensioni e i volumi dell’atrio sinistro prima dell’ablazione delle vene polmonari ai fini di selezionare correttamente i pazienti candidati alla procedura ablativa. Il 46% dei centri ha utilizzato la risonanza magnetica cardiaca per guidare l’elettrofisiologo durante le procedure di mappaggio e di trattamento mediante ablazione transcatetere dei pazienti affetti da tachicardia ventricolare. Il mappaggio elettroanatomico era a disposizione nell’oltre il 75% dei centri collaboranti ai fini di identificare correttamente o di trattare il substrato aritmogeno, mentre l’impiego dell’ablazione attraverso controllo robotico e di navigazione magnetica da postazione remota era assolutamente limitata solo a 2 centri, meno del 10% degli ospedali collaboranti. Dalla rassegna è emerso che una integrazione tra le immagini ottenute con risonanza magnetica o con TAC cardiaca e i sistemi di mappaggio transcatetere è stata utilizzata nel 43% dei centri che effettuavano procedure di ablazione con radiofrequenza della fibrillazione atriale.

Ci sono delle differenze nell’accesso alle diverse tecniche di imaging e di mappaggio elettroanatomico?
La survey ha evidenziato una differenza significativa tra quelle che sono le metodiche di imaging già impiegate da alcuni anni. Ad esempio i sistemi di navigazione Carto e NavX vengono utilizzati in oltre la metà dei centri, mentre gli altri sistemi di navigazione che sono ancora oggetto di valutazione e di ricerca sono utilizzate soltanto in pochissimi centri che si stanno occupando evidentemente a livello sperimentale dell’implementazione di queste nuove tecniche di imaging.

Qual è il quadro per quanto riguarda invece le tecniche di imaging nella terapia con pacemaker o con defibrillatore?
La metà dei centri che hanno partecipato alla survey ha utilizzato i criteri ecocardiografici per l’identificazione di coloro che potevano rispondere in modo favorevole alla terapia di resincronizzazione. Più basse invece le percentuali dell’utilizzo della TAC cardiaca o della risonanza magnetica per una corretta visualizzazione dei vasi che possono essere sede di impianto di catetere e per l’identificazione di una cicatrice. Nel valutare i risultati di questa sezione della survey va considerato che in accordo con le linee guida sul pacing cardiaco e la resincronizzazione cardiaco non emerge ancora un valore certo delle tecniche di imaging per la selezione di questi pazienti. Di conseguenza è emersa una certa variabilità nell’impiego di queste metodiche nei vari ospedali europei.

Recentemente sono stati pubblicati i risultati di un’altra interessante survey sui programmi di screening per valutare il rischio di morte improvvisa nei pazienti affetti da cardiomiopatia ischemica e non ischemica (2). Questi programmi sono ormai radicati nel contesto europeo?
Abbiamo riscontrato che nel 61,3% dei centri collaboranti a questa survey era presente un programma di screening sistematico per valutare pazienti che potrebbero presentare morte cardiaca improvvisa e quindi candidabili a terapia con defibrillazione impiantabile. Abbiamo inoltre potuto verificare un impatto dei grandi trial nella valutazione del rischio: il 30% degli impianti rifletteva i criteri di inclusione di MADIT-II, il 29% del trial SCD-HeFT, il 18% del trial MADIT-CRT e il 16% dello studio COMPANION. La maggior parte considera la presenza di insufficienza renale severa uno dei fattori limitanti l’impianto di un defibrillatore. Altri esami utili per studiare il substrato aritmogeno e la predisposizione ad aritmie maligne, quali l’elettrocardiografia ad alta risoluzione e la variabilità della frequenza cardiaca, vengono scarsamente utilizzati a. Ben il 74,2% dei centri non utilizza mai queste metodiche per l’identificazione dei pazienti candidabili ad impianto di defibrillatore. Nei soggetti con un’indicazione non certa ma possibile all’impianto di defibrillatore, il 19% dei centri collaboranti dichiara di utilizzare un holter impiantabile affermando che tale indicazione è inquadrabile in un progetto di ricerca che non in una pratica clinica ormai consolidata. In sintesi, quello che emerge da questa rassegna è da un lato l’esistenza all’interno dei vari centri europei di strutture dedicate per lo screening che risulta fondamentale per selezionare questi pazienti, dall’altro che nella pratica clinica i soggetti vengono seguiti più gli esiti dei grandi trial che le diverse metodiche nell’identificazione dei pazienti a rischio e con indicazione all’impianto di defibrillazione.

Una delle prime survey di EP Wire che lei ha coordinato riguardava il tema importante, ancora attuale, delle gestione dei pazienti sopravvissuti ad arresto cardiaco extraospedaliero (3).
Si tratta certamente di un argomento con notevole impatto clinico perché si basa sul fatto che fino a pochi anni fa la sopravvivenza di questi pazienti era ancora molto bassa. L’attivazione di una nuova rete di defibrillazione sul territorio, l’applicazione dell’ipotermia terapeutica, della coronarografia in una fase molto precoce del percorso clinico intraospedaliero e in casi selezionati prima della dimissione di un defibrillatore automatico impiantabile ha fatto sì che le percentuali di sopravvivenza siano andate incontro a un miglioramento progressivo. Questa survey ha permesso di esaminare in dettaglio l’eziologia dell’arresto cardiaco, le modalità di presentazione del primo ritmo documentato, l’applicazione dell’ipotermia terapeutica sia nella fase preospedaliera sia nella fase intraospedaliera, l’implementazione della coronografia d’urgenza, la valutazione dei pazienti che sono andati incontro ad angioplastica coronarica o comunque a rivascolarizzazione anche chirurgica, e infine ad impianto di defibrillatore. Il quadro che ne è emerso è complessivamente confortante: la survey ha mostrato un’ottima implementazione di una strategia aggressiva nel trattamento di questi pazienti, che ha incluso la coronografia precoce, angioplastica coronarica nei casi candidati a tale procedura, l’impianto di defibrillatore nei pazienti selezionati correttamente per questa terapia; mentre l’ipotermia terapeutica è risultata essere sottoutilizzata soprattutto nella fase preospedaliera.

Per quanto riguarda invece l’impiego della coronarografia emergente?
Un dato importante è che la maggior parte dei centri non ha considerato l’intervallo tra l’arresto cardiaco e il recupero della circolazione spontanea come una variabile determinante la decisione di eseguire la coronarografia emergente. Questa survey riguardava prevalentemente l’anno 2011 e da questa è emerso che il 90% dei centri collaboranti ha eseguito più di 10 angioplastiche primarie nei pazienti che hanno presentato un arresto cardiaco e la sopravvivenza è risultata discretamente buona: oltre il 30% nel 42% dei centri se l’aritmia all’esordio era rappresentata da un ritmo trattabile con cardioversione, con shock e non una asistolia o una dissociazione elettromeccanica.

25 settembre 2013

Bibliografia

1) Pison L, Proclemer A, Bongiorni MG, et al; Scientific Initiative Committee, European Heart Rhythm Association.Imaging techniques in electrophysiology and implantable device procedures: results of the European Heart Rhythm Association survey. Europace 2013; 15: 1333-6.
2) Proclemer A, Lewalter H, Bongiorni MG, et al. Screening and risk evaluation for sudden cardiac death in ischaemic and non-ischaemic cardiomyopathy: results of the European Heart Rhythm Association survey. Europace 2013; 15: 1059-1062.
3) Proclemer A, Dobreanu D, Pison L, et al; Scientific Initiative Committee-European Heart Rhythm Association. Current practice in out-of-hospital cardiac arrest management: a european heart rhythm association EP network survey. Europace 2012; 14: 1195-8.

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