Nuovi predittori del rischio aritmico nei pazienti con ICD in prevenzione primaria
Una compromissione dello strain longitudinale globale si associa a un rischio maggiore di aritmie ventricolari e di shock appropriati nei pazienti con un ICD in prevenzione primaria. Tuttavia, questo parametro sembra essere in grado di predire solo il verificarsi del primo evento aritmico e non di quelli successivi. È quanto emerge da uno studio nato dalla collaborazione tra la Clinica di Cardiologia e Aritmologia degli Ospedali Riuniti di Ancona e l’Ospedale Guglielmo da Saliceto di Piacenza, i cui risultati sono stati presentati all’ultimo Congresso dell’European Society of Cardiology, tenutosi a Parigi dal 31 agosto al 4 settembre.

Attualmente, il parametro primario utilizzato per la stratificazione del rischio di aritmie ventricolari nei pazienti con cardiopatie strutturali è la frazione di eiezione del ventricolo sinistro. Tuttavia, per questo scopo la LVEF è caratterizzata da una bassa sensibilità e da un’elevata variabilità intra e inter-operatore. “Quello che abbiamo fatto – ha commentato Federico Guerra, cardiologo della Clinica di Cardiologia e Aritmologia degli Ospedali Riuniti di Ancona e prima firma dello studio – è andare a valutare la predittività in termini di rischio aritmico di una serie di marker più ‘nuovi’, come lo strain longitudinale o le misure di dispersione meccanica”.
Sono stati presi in considerazione 233 pazienti consecutivi candidati a impianto di ICD per una cardiopatia strutturale (165 maschi e 68 femmine, con un’età media di 67,9±11,4 anni). Questi sono stati sottoposti a un’ecocardiografia speckle tracking entro 7 giorni dall’impianto col fine di misurare lo strain longitudinale globale, la dispersione meccanica e la durata della contrazione delta. I pazienti sono stati quindi seguiti settimanalmente, mediante monitoraggio da remoto, per analizzare il verificarsi di aritmie ventricolari o la somministrazione di terapia da parte dell’ICD. I risultati hanno messo in evidenza come lo strain longitudinale globale sia in grado di predire il tempo alla prima terapia appropriata dell’ICD (p=0,003) e alla prima aritmia ventricolare (p=0,001), mentre nessuno dei parametri presi in considerazione è risultato in grado di predire gli eventi aritmici successivi al primo.

“Abbiamo dimostrato come lo strain longitudinale globale sia efficace nel predire il tempo al primo evento aritmico – ha spiegato Guerra –, inteso sia come evento registrato dal defibrillatore sia come terapia appropriata dell’ICD, quindi shock o ATP, mentre la frazione di eiezione non è risultata predittiva di eventi aritmici. Sono dati importanti, a dimostrazione di come la frazione di eiezione non sia più sufficiente per stratificare il rischio aritmico nei pazienti candidati a ICD, mentre nuove metodiche come lo speckle tracking possono essere utilizzate a basso costo e con buona efficacia”.