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Con la digossina aumenta il rischio di mortalità?

Un’analisi post-hoc dello studio AFFIRM mette in discussione l’impiego della digossina nei pazienti con fibrillazione atriale. I risultati pubblicati sull’European Heart Journal evidenziano un aumento della mortalità associata al farmaco.

Da decenni la digossina viene ampiamente impiegata come farmaco per controllare la frequenza ventricolare in corso di fibrillazione atriale. Tuttavia il suo uso è controverso a causa del suo basso indice terapeutico e della possibilità di contribuire allo sviluppo di tachiaritmie ventricolari potenzialmente letali e di severe bradiaritmie. Diversi studi hanno evidenziato che elevati livelli di digossina nel siero sono stati associati a un aumento della mortalità in diverse popolazioni di pazienti. Non è ancora stato dimostrato se la digossina sia di per sé responsabile dell’aumento della mortalità (effetto tossico del farmaco) oppure se viene prescritta in pazienti che hanno una più alto rischio di mortalità per la presenza di comorbilità (effetti confondenti).
Per indagare la dibattuta relazione tra digossina e mortalità i colleghi del Gill Heart Institute della University of Kentucky hanno condotto un’analisi post-hoc dei dati dello studio AFFIRM che era stato disegnato per mettere a confronto due strategie per la gestione della fibrillazione atriale: il controllo del ritmo con i farmaci antiaritmici ed il controllo della frequenza ventricolare con i farmaci in grado di rallentare la conduzione a livello del nodo atrio-ventricolare.

“Abbiamo analizzato post-hoc i dati dello studio AFFIRM – spiegano gli autori sull’European Heart Journal – per verificare se l’uso della digossina sia un predittore di mortalità cardiovascolare, per eventi antiaritmici e per tutte le cause, in tutti i pazienti con FA e in quelli con o senza insufficienza cardiaca congestizia/ FE < 40% dopo aver controllato per le comorbilità potenzialmente associate alla mortalità” . Lo studio
Lo studio multicentrico AFFIRM aveva arruolato 4060 pazienti con fibrillazione atriale, in terapia per il controllo del ritmo o per il controllo della frequenza. Di questi pazienti 2816 (il 69,4%) avevano ricevuto la digossina. In questa nuova analisi post-hoc di AFFIRM i pazienti sono stati suddivisi sulla base della presenza o meno di insufficienza cardiaca (intesa come anamnesi positiva per scompenso cardiaco o frazione di eiezione minore di 40%). Con modelli multivariati di Cox a rischi proporzionali è stato rilevato che la digossina era associata a un aumento della mortalità per tutte le cause (estimated hazard ratio [EHR] 1,41, 95% intervallo di confidenza [CI] 1,19-1,67, P < 0,001), mortalità cardiovascolare (EHR 1,35, 95% CI 1,06-1,71, P = 0,016), e mortalità antiaritmica (EHR 1,61, 95% CI 1,12-2.30, P = 0,009). L’aumento della mortalità per tutte le cause è risultato indipendente dalla presenza o meno di insufficienza cardiaca (EHR 1,37, 95% CI 1,05-1,79, P = 0,019 e EHR 1,41, 95% CI 1,09-1,84, P = 0,010, rispettivamente). Inoltre, non è stata riscontrata nessuna variazione significativa a seconda del sesso, sia per la mortalità per tutte le cause (P = 0,70) sia per la mortalità cardiovascolare (P = 0,95). Conclusioni
La digossina può quindi aumentare in modo significativo e indipendente la mortalità nei pazienti con fibrillazione atriale con e senza insufficienza cardiaca. “L’analisi post-hoc potrebbe essere stata sopravvalutata per la presenza di fattori di confondimento sconosciuti o non misurati. Tuttavia considerate la notevole ampiezza osservata dell’effetto e la coerenza delle analisi statistiche è inverosimile che i risultati possano essere invalidati da fattori di confondimento residui”, spiegano gli autori concludendo che i risultati dell’analisi post-hoc mettono in luce la necessità di rivalutare il ruolo della digossina oggi per il trattamento della fibrillazione atriale.

Resta da individuare il meccanismo patofisiologico alla base del legame tra terapia con digossina e aumento della mortalità. Nello studio AFFIRM, spiegano gli autori, non sono stati monitorati regolarmente le concentrazioni sieriche della digossina, né i parametri della funzionalità renale e non sono state registrate la durata e l’aderenza alla terapia con digossina. Il monitoraggio e il follow up delle concentrazioni sieriche che non vengono effettuate di norma nel pratica clinica reale sarebbero necessari per garantire la sicurezza.

Bibliografia
Whitbeck MG, Charnigo RJ, Khairy P, et al. Increased mortality among patients taking digoxin-analysis from the AFFIRM study. Eur Heart J 2012 Nov 27. [Epub ahead of print]

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