Decive impiantabili e MRI: aspetti tecnologici e organizzativi
L’Istituto Superiore di Sanità entra nel merito delle risonanze magnetiche nei portatori di device cardiaci impiantabili con un documento che traccia delle linee guida sulle possibilità e problematiche organizzative relative alla gestione interdisciplinare di questi pazienti, in seguito l’introduzione sul mercato di dispositivi di nuove generazione MR-conditional.
“Il documento è stato redatto per fornire un supporto all’attività clinica di cardiologi e radiologi coinvolti nella pianificazione ed esecuzione di esami di risonanza magnetica in pazienti portatori di pacemaker, defibrillatori impiantabili e loop recorder, al fine di garantire la sicurezza del paziente e degli operatori”, commenta Federica Censi dell’ISS, co-autrice del documento pubblicato su Rapporti ISTISAN. “Nel documento vengono trattati aspetti scientifici e tecnologici, normativi e organizzativi, relativi all’interazione tra i dispositivi dispositivi cardiaci impiantabili attivi e la risonanza magnetica.”
Introduzione
Per un lungo periodo, l’esecuzione di esami di Risonanza Magnetica (RM) è stata preclusa ai pazienti portatori di dispositivi cardiaci impiantabili attivi. L’introduzione sul mercato di dispositivi compatibili con la risonanza magnetica (Magnetic Resonance-conditional, MRconditional) consente l’esecuzione, in certe condizioni controllate, di esami di imaging mediante risonanza magnetica (Magnetic Resonance Imaging, MRI) altrimenti preclusi.
Gli scanner di RM e i pacemaker/defibrillatori sono dispositivi medici di notevole complessità. Gli scanner di RM utilizzano diversi fenomeni fisici per ottenere immagini diagnostiche. Sono costituiti da diversi tipi di antenne alimentati con notevoli potenze. I pacemaker/defibrillatori sono dispositivi complessi perché salvavita. Questi dispositivi devono costantemente monitorare l’attività cardiaca per diagnosticare aritmie e intervenire di conseguenza.
L’ambiente in cui gli scanner di RM sono installati e utilizzati deve rispondere a specifici requisiti per garantirne un utilizzo sicuro. Ogni altro dispositivo introdotto in un tale ambiente deve essere compatibile, cioè deve continuare a funzionare correttamente quando sottoposto ai campi magnetici ed elettromagnetici utilizzati e quindi generati dagli scanner di RM.
Per questi motivi, ai soggetti con pacemaker/defibrillatore è sempre stato vietato l’ingresso in tali ambienti.
Tuttavia, l’MRI è ormai divenuto la scelta di elezione per lo studio morfologico e, più recentemente, anche funzionale, di molti tessuti umani, in particolare le strutture molli. La rapida diffusione che questa modalità diagnostica ha incontrato negli ultimi anni è legata alla capacità di fornire immagini del corpo umano in 3 dimensioni ad altissima risoluzione, senza dover ricorrere all’utilizzo di radiazioni ionizzanti. Parallelamente, nell’ultimo decennio, il numero di impianti di pacemaker e defibrillatori ha avuto un notevole incremento. Il numero totale degli impianti di pacemaker registrati nel 2011 è stato di 24.156, con un tasso di impianto di 398 per milione di abitanti. Il numero totale degli impianti di defibrillatori registrati nel 2011 è stato di 17.574, equivalente a 290 impianti per milione di abitanti. Questo notevole sviluppo ha però comportato anche una crescente attenzione nei confronti dei possibili disturbi che i sistemi di MRI possono generare sui dispositivi cardiaci impiantabili per elettrostimolazione (Cardiac Implantable Electronic Device, CIED). La presenza di un CIED come un pacemaker o un defibrillatore impiantabile, ha da sempre rappresentato una controindicazione, spesso anche assoluta, all’esecuzione di un esame MRI.
Secondo stime recenti la percentuale di pazienti portatori di stimolatori impiantabili cardiaci candidata a essere sottoposta ad un esame MRI, nel corso della vita utile del dispositivo, raggiunge il 40% in Europa e il 50-75% negli USA. Le stesse stime affermano che ogni 6 minuti in Europa e ogni 3 minuti negli USA, ad un paziente viene negata la possibilità di eseguire un esame MRI a causa della presenza di un pacemaker (PM) o di un defibrillatore impiantabile (detto ICD, dalla denominazione inglese Implantable Cardioverter Defibrillator).
La comunità scientifica ha manifestato negli ultimi anni un notevole interesse per questo argomento, nel tentativo di individuare soluzioni tecnologiche ed organizzative capaci di estendere i benefici della MRI ai pazienti portatori di CIED. I risultati ottenuti dalla ricerca hanno permesso di individuare i rischi derivanti dall’incontro di queste due tecnologie e di individuare soluzioni tecniche per eliminare o ridurre tali rischi, consentendo la realizzazione di impianti PM/ICD ed elettrocateteri MR-conditional, cioè compatibili con la RM in determinate condizioni di utilizzo.
È importante sottolineare come oggi siano presenti, per i nuovi impianti o nei pazienti, sia dispositivi MR-conditional che dispositivi convenzionali, per i quali i rischi in RM non sono stati valutati. Secondo un sondaggio condotto dalla European Heart Rhythm Association nel 2012 per valutare l’impatto del problema ed il comportamento delle strutture cliniche relativamente all’esecuzione di esami MRI in pazienti portatori di PM/ICD, emerge che, su 51 strutture cliniche considerate, il 55% non esegue esami MRI in pazienti portatori di PM non MRconditional e il 66% non li esegue in pazienti portatori di ICD. Questo dato evidenzia una disomogeneità di comportamento e la necessità di linee guida comuni.
Il documento
Calcagnini G, Censi F, Cannatà V, et al. Dispositivi cardiaci impiantabili attivi e risonanza magnetica nucleare: aspetti tecnologici, inquadramento organizzativo e modelli organizzativi. Rapporti ISTISAN 15/9 (PDF: 1,7 Mb)