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Fibrillazione negli over70: controllo del ritmo o della frequenza?

Sull’American Journal of Medicine un’analisi post hoc dell’AFFIRM conclude che nei pazienti settuagenari con fibrillazione atriale il controllo della frequenza offre dei vantaggi rispetto al controllo del ritmo: riduzione della mortalità e delle ospedalizzazioni cardiovascolari.

La prevalenza della fibrillazione atriale (FA) cresce in modo sostanziale dopo i 70 anni di età. Tuttavia non è ancora chiaro se in questa specifica categoria di pazienti sia preferibile una strategia terapeutica del controllo della frequenza con farmaci quali  calcio-antagonisti, beta-bloccanti, digitale oppure del controllo ritmo con cardioversione elettrica e/o farmaci antiaritmici.  Delle nuove indicazioni cliniche vengono da un’analisi post hoc del trial multicentrico AFFIRM, recentemente pubblicata sull’American Journal of Medicine, che ha preso in esame il follow up dei pazienti fibrillanti settuagenari trattati per il mantenimento del ritmo o della frequenza.

Lo studio

Lo studio randomizzato AFFIRM aveva confrontato i due approcci al trattamento della fibrillazione atriale – il controllo della frequenza versus  il controllo del ritmo cardiaco- in pazienti con un’età media di 70 anni con FA persistente o parassostica. Non era emersa una differenza significativa nella riduzione della mortalità per tutte le cause nei pazienti trattati con il controllo della frequenza, fatta eccezione in un sottogruppo di pazienti con età compresa tra i 65 e gli 80 anni. Tuttavia, il risultato in questo sottogruppo di pazienti non era leggibile perché non erano state considerate le caratteristiche cliniche al baseline e quindi ci potevano essere dei fattori confondenti.

Per mettere a confronto i due diversi approcci nei pazienti settuagenari, Nasir Sheriff della University of Pittsburgh e colleghi hanno valutato i dati dei 2248 pazienti arruolati con un età compresa tra i 70 e gli 80 anni, 1118 di questi in terapia per il controllo della frequenza. Per evitare distorsioni generati dalla possibile perdita di randomizzazione hanno aggiustato di dati con il propensity score e formato due gruppi  di 937 pazienti (uno con il controllo del ritmo, l’altro con il controllo della frequenza) ben bilanciati sulla base di 45 caratteristiche cliniche.

L’analisi statistica ha evidenziato nel corso dei 3,4 anni di follow up una mortalità per tutte le cause del 18% nel gruppo del controllo del frequenza e del 23% in quello delle ritmo (hazard ratio associato al controllo della frequenza  0,77;  CI del 95%, 0,63-0,94; P = 0,010). I valori dell’hazard ratio (CI del 95%) per la mortalità cardiovascolare e non cardiovascolare associati al controllo della frequenza sono risultati rispettivamente dello 0,88 (0,65-1,18) e dello 0,62 (0,45-0,84).

Dei risultati analoghi sono stati ottenuti relativamente alle ospedalizzazione per tutte le cause che sono risultate del 61% nel gruppo del controllo delle frequenze e del 68% nel gruppo del controllo delle ritmo (hazard ratio associato al controllo della frequenza  0,76; CI del 95%, 0,68-0,86; P < 0,001).  L’analisi statistica ha evidenziato una riduzione significativa associata al controllo della frequenza nelle ospedalizzazioni cardiovascolari (HR 0,66; CI del 95%, 0,56-0,77; P <.001) ma non in quelle non cardiovascolari (HR 1,07; CI del 95%, 0,91-1,27; P = .42).

Per quanto concerne il rischio di sanguinamenti maggiori o di ictus non sono state riscontrate delle differenze statisticamente significative.

Conclusioni

Nonostante i dati siano stati aggiustati con il propensity score sono possibili degli errori dovuti a fattori confondenti non misurati. Tuttavia, concludono gli autori, le analisi statistiche evidenziano nei pazienti con 70-80 anni con fibrillazione atriale parossistica o persistente una superiorità del controllo della frequenza rispetto al controllo del ritmo in termini di riduzione del rischio sia di mortalità sia di ospedalizzazioni in particolare cardiovascolari.  Questi risultati suggeriscono che gli effetti dannosi del controllo del ritmo per la gestione della fibrillazione atriale potrebbero essere più accentuati negli ultrasettantenni.

In attesa di avere a disposizione nuove evidenze andrebbe scelta la strategia tradizionale del controllo della frequenza nei pazienti settuagenari fibrillanti che rappresentano una parte in crescita della popolazione ad alto rischio per l’incidenza della fibrillazione atriale e delle sue complicazioni.

 

Bibliografia
Shariff N, Desai R, Patel K, et al. Rate-control versus Rhythm-control Strategies and Outcomes in Septuagenarians with Atrial Fibrillation. The American Journal of Medicine 2013; 126: 887-93.

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