ICD in prevenzione primaria: i trial randomizzati riproducono il mondo reale?
La sopravvivenza dei pazienti con il defibrillatore impiantabile in prevenzione primaria nel mondo reale è paragonabile a quella riscontrata nei due grandi trial randomizzati MADIT-II e SCD-HeFT. Lo conclude uno studio pubblicato sul JAMA.
Un tema controverso e dibattuto nella comunità medico-scientifica è la mancata riproducibilità nel mondo reale di efficacia dimostrati nel contesto di uno studio clinico randomizzato (RCT). Riprendendo la classica distinzione di Archibald Leman Cochrane tra efficacy e effectiveness, l’efficacia clinica (efficacy) di un trattamento negli RCTs non è sempre uguale alla sua efficacia (effectiveness) nella pratica corrente dove intervengono una serie di condizioni variabili che possono interferire sugli effetti della terapia. Per una best practice, a parità di condizioni, sono quindi da preferire trattamenti e interventi non solo di efficacia documentata da RCTs, ma che siano sperimentati anche nella pratica corrente.
Il report pubblicato sul JAMA, a firma di Sana Al-Khatib del Duke Clinical Research Institute (Durham, North Carolina, Usa) e colleghi, entra nel merito della riproducibilità nella pratica clinica dei risultati dei trial clinici, specificamente per l’impianto di defibrillatore (ICD) in prevenzione primaria che è una procedura costosa e potenzialmente associata a complicazioni.
Di fatto i pazienti arruolati nei trial clinici sull’impianto di defibrillatore impiantabile (ICD) molto spesso non rispecchiano la popolazione che si incontra nella pratica clinica quotidiana caratterizzata sostanzialmente da un’età più avanzata, da un profilo di comorbilità mediamente più complesso e spesso da un quadro di scompenso cardiaco avanzato.
Sana Al-Khatib et al colleghi ha quindi voluto mettere a confronto la sopravvivenza dei pazienti con impianto di ICD in prevenzione primaria arruolati in due grandi trial clinici – MADIT-II e SCD-HeFT – con quella dei pazienti trattati negli Stati Uniti con ICD inseriti nel più grande Registro statunitense di defibrillatori impiantabili, il National Cardiovascular Data ICD Registry.
Lo studio
L’analisi retrospettiva ha incluso i pazienti arruolati nel Registro statunitense tra il primo gennaio 2006 e il 31 dicembre 2007 che soddisfacevano i criteri di MADIT-II e i criteri di SCD-HeFT. Il propensity score matching ottenuto con i dati demografici, le variabili elettocardiografiche, la storia cardiovascolare, la classe di scompenso e la terapia, ha identificato 2462 pazienti simili a MADIT-II e 3352 pazienti simili a SCD-HeFT. I pazienti del Registro erano significativamente più anziani e avevano un più alto carico di comorbilità. Nel periodo di follow-up dei pazienti sono stati registrati complessivamente, in tutte le coorti in esame, 1614 decessi per tutte le cause.
Il modello di Cox dei rischi proporzionali non ha evidenziato una differenza significativa nella sopravvivenza tra i pazienti MADIT-II-like del Registro e i pazienti del MADIT-II randomizzati a ricevere un ICD (2-year mortality rates: 13.9% vs 15.6%; adjusted registry vs MADIT-II HR, 1,06; 95% CI, 0,85-1,31; P=,62). Nessuna differenza significativa è stata rilevata anche tra i pazienti SCD-HeFT–like del Registro e i pazienti dello SCDHeFT randomizzati a ricevere l’ICD (3-year mortality rates: 17,3% vs 17,4%; adjusted registry vs SCD-HeFT HR, 1,16; 95% CI, 0,97-1,38; P=,11). In una seconda analisi i pazienti del registro hanno mostrato una riduzione significativa della mortalità rispetto ai pazienti del MADIT-II randomizzati alla terapia medica (2-year mortality rates: 13,9% vs 22%; adjusted registry vs MADIT-II HR, 0,73; 95% CI, 0,59-0,92; P=,007) e dei pazienti dello SCD-HeFT randomizzati a ricevere il placebo (3-year mortality rates: 17,3% vs 22,4%; adjusted registry vs SCD-HeFT HR, 0,82; 95% CI, 0,70-0,96; P=,01).
Conclusioni
L’analisi statistica evidenzia quindi una sovrapposizione delle curve di sopravvivenza per tutte le cause di morte dopo impianto di ICD delle coorti abbinate tramite punteggio di propensione. Lo stesso risultato è stato ottenuto circoscrivendo l’analisi ai pazienti di 65 anni e più anziani. Con il più grande Registro di impianti di ICD disponibile negli Stati Uniti – concludono gli autori – è stato dimostrato che non c’è una differenza significativa della sopravvivenza tra la coorte di pazienti del Registro e la coorte dei pazienti dei due grandi trial clinici randomizzati che hanno ricevuto l’impianto ICD, mentre si riscontra una più alta sopravvivenza dei pazienti del Registro rispetto a quelli randomizzati a ricevere la terapia medica. È inoltre importante considerare che questi risultati sono generalizzabili anche negli over 65.
Lo studio del JAMA suggerisce dunque che i risultati di efficacy dell’impianto di ICD in prevenzione primaria sono paragonabili a quelli della pratica reale in termini di mortalità per tutte le cause.
Bibliografia
Al-Khatib SM, Hellkamp A, Bardy GH, et al. Survival of patients receiving a primary prevention implantable cardioverter-defibrillator in clinical practice vs clinical trials. JAMA 2013; 309: 55-62.