Report del sondaggio sulla programmazione dei defibrillatori impiantabili
Cari Colleghi, il sondaggio sulla programmazione dei defibrillatori impiantabili si è da poco concluso e abbiamo il piacere di condividere una sintesi di ciò che da questa iniziativa di AIAC è emerso.
Partecipanti
Nel breve periodo in cui è stata online, 86 colleghi da tutta Italia hanno risposto alla survey, con le regioni del nord e del sud che hanno partecipato in egual misura (complessivamente l’80% del campione intervistato) e distaccato quindi questa volta le regioni del centro Italia. Gli intervistati provenivano nel 64% dei casi da centri con volume di impianti medio o elevato (oltre i 50 ICD per anno), con la quasi totalità dei colleghi (88%) impegnata nelle sale di elettrostimolazione o di elettrofisiologia, e il 12% costituito da medici coinvolti nell’attività ambulatoriale aritmologica o di follow-up dei dispositivi.
Risultati
Il 94% del campione intervistato esegue gli impianti di ICD con un ingegnere certificato messo a disposizione dall’azienda costruttrice del device ed è solito programmare direttamente in sala il defibrillatore appena impiantato. Tuttavia, nel 61% dei casi non è l’ingegnere ma il medico a programmare le terapie anti-tachicardiche in modo “personalizzato”, con particolare riguardo sia alle indicazioni cliniche, sia al risparmio della batteria (71% del campione intervistato). Ciononostante, oltre il 60% dei colleghi reputa prezioso il consiglio tecnico del field clinical specialist, soprattutto in relazione alla programmazione degli algoritmi automatici e di discriminazione. Seppure plausibilmente in riduzione rispetto a tempi in cui la programmazione delle finestre di terapia era lasciata quasi invariabilmente agli ingegneri, un rilevante 39% dei colleghi intervistati non si occupa di programmare le terapie personalmente. Non diverso è lo scenario della programmazione dei defibrillatori biventricolari: il 62% dei medici programma personalmente i dispositivi, con particolare riferimento alla configurazione del pacing ventricolare sinistro (34%), e ai ritardi AV e VV (39%). Meno di un medico su quattro dichiara di eseguire una programmazione eco-guidata del dispositivo, mentre la maggior parte dei colleghi ottimizza il pacing biventricolare direttamente in sala di elettrostimolazione (84% del campione), affidandosi ad algoritmi automatici (28%) o utilizzando una strategia basata sulla durata del QRS (43%).
Riguardo alla programmazione delle finestre di terapia anti-tachicardica, soprattutto in prevenzione primaria della morte improvvisa, il MADIT-RIT emerge come lo studio di riferimento. Il 53% del campione intervistato programma, infatti, il defibrillatore declinando uno dei possibili protocolli previsti dal trial (cut-off in frequenza, in durata, o in frequenza + durata), mentre quasi un terzo dei colleghi intervistati ritiene preferibile una programmazione di tipo pain-free. La propensione ad utilizzare programmazioni conservative MADIT-RIT-like si riduce invece nel caso di pazienti in prevenzione secondaria (43% del campione).
Piuttosto variopinto si è rivelato il quadro relativo all’utilizzo degli alert automatici, sia di tipo clinico che elettrico. Se, motivatamente, solo poco più di un terzo del campione intervistato attiva sempre la sensoristica per il monitoraggio dello scompenso cardiaco, meno comprensibilmente il 22% degli intervistati dichiara di non attivare gli allarmi per il monitoraggio dei parametri elettrici in modo sistematico. Il panorama cambia sensibilmente nel caso dei pazienti che ricevono un defibrillatore biventricolare, con il 67% del campione che dichiara di attivare gli alert per lo scompenso cardiaco sempre (47%) o almeno nel 75% dei casi (20%). Questo scenario è sostanzialmente sovrapponibile a quello emerso dalla recente survey di AIAC sulla programmazione dei pacemaker biventricolari.
Ancora più articolato è il panorama relativo all’offerta del servizio di home monitoring. Quasi la metà del campione dichiara di offrire questa opzione in meno del 50% dei casi, mentre solo un medico su quattro attiva sistematicamente il monitoraggio domiciliare, indipendentemente dal tipo di device impiantato (ICD o CRT-D).
Conclusioni
La survey sulla programmazione e gestione dei defibrillatori impiantabili amplia e integra quanto già emerso da quella condotta da AIAC sui pacemaker. I dati confermano lo scenario di un’aritmologia italiana attenta alle evoluzioni tecnologiche, aggiornata sui temi affrontati dalla letteratura scientifica, e alquanto diffidente nei confronti di automatismi diagnostici e terapeutici di limitata utilità clinica.
Particolarmente confortante è la tendenza emersa dal sondaggio a programmare le terapie anti-tachicardiche in modo conservativo, preservando i pazienti dai tanti interventi tecnicamente o clinicamente inappropriati dei defibrillatori impiantabili. In questo senso, la comunità degli elettrostimolatori italiani ha fatto propria la lezione del MADIT-RIT, che ha dimostrato come programmare le finestre di intervento solo per aritmie a frequenza particolarmente elevata e/o con un lungo intervallo di riconoscimento è una pratica sicura, efficace, e che riduce la mortalità.
Altro elemento di particolare interesse emerso dalla survey, con particolare riferimento alla programmazione dei defibrillatori biventricolari, è un generale scetticismo rispetto all’opportunità di eseguire l’ottimizzazione degli intervalli di stimolazione atrio-ventricolare e interventricolare guidata da variabili ecografiche. La maggior parte degli elettrostimolatori esegue infatti l’ottimizzazione della stimolazione biventricolare direttamente in sala operatoria utilizzando algoritmi automatici dei dispositivi o lasciandosi guidare dalla durata del QRS. Le scelte del campione in esame sono in linea con i dati della letteratura scientifica, i quali non hanno mai dimostrato in modo convincente i vantaggi clinici di strategie complesse nell’ottimizzazione degli intervalli di stimolazione nella terapia di resincronizzazione cardiaca.
Come evidenziato dalle risposte del campione relativamente agli algoritmi di alert clinico di scompenso cardiaco, una quota non trascurabile degli elettrostimolatori italiani non attiva di default la sensoristica presente ormai su tutti i defibrillatori impiantabili. Anche in questo caso, lo scetticismo è giustificato dai dati controversi presenti in letteratura, i quali non hanno mai inequivocabilmente dimostrato i benefici clinici di un approccio alla prevenzione delle ospedalizzazioni (o alla riduzione della mortalità) guidato dagli alert di accumulo di fluidi.
Un ultimo dato degno di nota è il complessivo sottoutilizzo del controllo remoto nei pazienti portatori di defibrillatori impiantabili. Tale atteggiamento generale, che ricalca peraltro quanto già emerso dalla survey di AIAC sulla programmazione dei pacemaker, sembra essere giustificato dalle note problematiche gestionali e amministrative che caratterizzano l’attività di home monitoring su elevati volumi di pazienti da parte di Centri con risorse umane relativamente limitate. Proprio con l’intento di promuovere un utilizzo razionale e sostenibile di una tecnologia che promette di migliorare la sicurezza dei pazienti, AIAC potrebbe presto sondare la vostra opinione in merito…
Pietro Francia
Luca Santini
I risultati di altri sondaggi dell’AIAC
– Report del sondaggio sulla programmazione dei pacemaker
– Report del sondaggio sui device MRI conditional
– Report del sondaggio sull’impianto di defibrillatori sottocutanei
– Report del sondaggio sulla formazione elettrofisiologia ed elettrostimolazione
– Report del sondaggio sull’utilizzo di dronedarone nella fibrillazione atriale
– Report del sondaggio sull’utilizzo della terapia anticoagulante orale
– Report del sondaggio sulla stimolazione ventricolare da siti alternativi