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Un difficile quesito: CRT-D o CRT-P?

In assenza di tachiartimie ventricolari la normalizzazione della frazione di eiezione del ventricolo sinistro può essere considerata un’indicazione al downgrading da CRT-D a CRT-P al momento dell’esaurimento della batteria. Nuove evidenze dall’ultima analisi post hoc di MADIT-CRT pubblicata sulla rivista Circulation.

Se da un lato non sembrano esserci dubbi sull’efficacia della terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT) nel ridurre la mortalità e l’ospedalizzazione dovuta allo scompenso cardiaco, dall’altro non è ancora del tutto chiaro quando sia da preferire la CRT associata o meno al defibrillatore (CRT-D vs CRT-P), né quando sia appropriato sostituire la CRT-D con la CRT-P al momento della sostituzione delle batterie in pazienti che non hanno mai avuto aritmie maligne.

Il lato negativo della CRT-D rispetto al semplice CRT-P è che fino al 15% di pazienti con ICDs o CRT-D ricevono shock inappropriati quando il dispositivo interpreta erroneamente un’aritmia benigna come tachiaritmia maligna. Nella scelta se optare o meno per la CRT-D dovrebbe essere tenuto in considerazione questo effetto collaterale che impatta negativamente sul paziente, oltre alle implicazioni economiche visti gli elevati costi del dispositivo combinato e il continuo incremento del numero di pazienti scompensati.

Relativamente nello specifico il downgrading, le stesse linee guida non danno indicazioni precise. Il documento “Appropriate Use Criteria for ICD and CRT” dell’American College of Cardiology Foundation e della Heart Rhythm Society scrive che il passaggio dalla CRT-D alla CRT-P potrebbe essere appropriato nei pazienti che hanno recuperato valori di frazione di eiezione del ventricolo sinistro (LVEF) normali (> 50%) o subnormali (36-49%). Davanti a questa incertezza non è sempre semplice orientarsi.

Possiamo affermare che i pazienti con impianto di CRT-D con LVEF normalizzata hanno un rischio assoluto molto basso di incorrere in aritmie maligne e pertanto l’ICD non è più necessario? È giustificabile il turn-off del defibrillatore al momento della sostituzione della batteria quando la LVEF è normale o subnormale, in particolare nei pazienti che non hanno avuto eventi ventricolari precedenti e/o hanno ricevuto delle terapie inappropriate dall’ICD?

Le risposte a questi quesiti – spiegano Martin Ruwald della University of Rochester Medical Center di New York e colleghi sulla rivista Circulation – sono state cercate nel grande trial MADIT-CRT analizzando in un sottogruppo di pazienti, moderatamente sintomatici per lo scompenso cardiaco, il rischio assoluto e relativo di aritmie ventricolari, il successivo decorso clinico e i fattori associati alla normalizzazione della LVEF.

Lo studio

Questa nuova sottoanalisi di MADIT-CRT ha incluso 752 pazienti sottoposti a impianto di CRT-D di cui si disponeva un ecocardiogramma a 12 mesi dall’impianto da confrontare con quello effettuato al baseline. Sono stati valutati come outcome la tachicacardia ventricolare, la tachiaritmia ventricolare > 200 bpm, gli shock dell’ICD, lo scompenso cardiaco o morte e le terapia inappropriata erogata dall’ICD.

A un anno dall’impianto di questi pazienti il 7,3% aveva recuperato una LVEF normale (>50%) e il 79% una LVEF subnormale ( 36-50%).  In un follow-up mediano di 2,2 anni l’analisi statistica ha evidenziato una riduzione del rischio di tachiaritmia ventricolare nei pazienti con LVEF superiore al 50% (HR: 0,24, CI: 0,07-0,82, p = 0,023) e in quello con LVEF tra il 35%  e il 50% (HR: 0,44, CI: 0,28-0,68, p < 0,001). Tra i pazienti con LVEF superiore al 50%  solo uno aveva tachiaritmia ventricolare > 200 bpm, nessuno aveva ricevuto degli shock dall’ICD e 2 erano deceduti ma non a causa di aritmie. Infine, al crescere dei valori di LVEF si è osservata una riduzione del rischio scompenso cardiaco/morte alla quale però non è corrisposta una riduzione aggiuntiva del rischio di terapia inappropriata dell’ICD.

Confrontando le caratteristiche cliniche e i parametri ecocardiografici dei pazienti con LVEF normale, subnormale o compromessa, alla visita di 12 mesi, Ruwald e colleghi hanno individuato questi sei fattori predittori di un recupero della funzionalità del ventricolo sinistro: 

  • sesso femminile (P = 0,025)
  • blocco di branca sinistro (P = 0,017)
  • assenza di un precedente infarto del miocardio (P = 0,006)
  • LVEF > 30% al baseline (P= 0,001)
  • volume telesistolico del ventricolo sinistro < 170 al baseline (P = 0,006)
  • indice di volume atriale sinistro < 45 mL/m2 (P= 0,002).

Conclusione

Nel tirare le somme gli autori individuano i punti importanti della loro sottonalisi. Da un lato il rischio assoluto molto basso di tachiaritmia ventricolare grave (> 200 bpm) tra i pazienti con LVEF normalizzata e, al contrario, un rischio residuo significativo di tachiaritmia ventricolare grave tra i pazienti con una subnormalizzazione della LVEF di circa il 7% a un follow up di 2, 2 anni. Dall’altra parte lo studio suggerisce anche che i pazienti con LVEF subnormale (compresa tra il 36% e il 50%) possono ancora essere soggetti a un numero significativo di aritmie ventricolari.

Un altro punto importante viene dal confronto dei pazienti con LVEF normale o subnormale che ha suggerito l’utilità di considerare sei fattori aggiuntivi nella stratificazione del rischio (come ad esempio il blocco di branca sinistra e la riduzione dei volume della camera sinistra) per predire quali pazienti hanno un rischio ridotto di tachiaritmia ventricolare. Nessuno dei pazienti che presentavano tutti e sei i criteri di rischio identificati al baseline hanno avuto episodi di tachiaritmia ventricolare nel corso del follow-up. “Questi risultati potrebbero servire per distinguere tra una procedura costosa e più rischiosa di impianto di CRT-D versus quella di impianto di CRT-P prima che i pazienti ricevano il nuovo device”.

Considerato che i  pazienti con LVEF superiore al 50% il decorso clinico nei 2,2 anni di follow up è eccellente e i fattori associati alla normalizzazione della funzionali ventricolare sinistra potrebbero proteggere dalla tachiaritmie ventricolari e considerato che anche in questi gruppo di pazienti persiste un rischio di shock inappropriati, il passaggio dalla CRT-D alla CRT-P potrebbe essere indicato in questa categoria di pazienti. Diverso invece il caso dei pazienti che hanno raggiunto una LVEF subnormale (tra il 36% e il 50%) nonostante un rischio ridotto sono possono essere ancora soggetti a un numero sostanziale di aritmie ventricolari.

Laura Tonon
Think2.it

Nota. MADIT-CRT è stato finanziato dalla Boston Scientific. Questa sottoanalisi non ha ricevuto nessun finanziamento.

Bibliografia 

Martin H. Ruwald MH, Solomon SD, Foster E, et al. Left Ventricular Ejection Fraction Normalization in Cardiac Resynchronization Therapy and Risk of Ventricular Arrhythmias and Clinical Outcomes: Results from the MADIT-CRT Trial. Circulation October 9, 2014, doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.114.011283

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