La grande rivoluzione che portò al primo ICD
Conoscere le varie tappe della storia della lotta alla morte improvvisa ci induce a riflettere sull’enorme lavoro che si cela dietro ogni nostro gesto quotidiano, aiutandoci accettare con gratitudine il presente. Eugene Braunwald nello storico articolo “Evolution of the management of acute myocardial infarction: a 20th century saga” pubblicato nel 1998 su The Lancet (1) descrisse l’unità coronarica (CCU-UTIC) come “the single most important advance in the treatment of acute myocardial infarction”.
L’avvento e la diffusione delle CCU trasformò la cardiologia e determinò l’evoluzione dell’assistenza infermieristica.
Le innovazioni rivoluzionarie
Questa rivoluzione fu strettamente legata ad alcune importanti innovazioni nel campo delle biotecnologie: il defibrillatore transtoracico, il pacemaker, la rianimazione cardio-polmonare e i monitor cardiaci. La nuova organizzazione nell’assistenza dei pazienti infartuati partiva dalla nuova consapevolezza non irreversibilità della morte improvvisa.
Nel 1947 Claude Beck salvò un ragazzo di 14 anni, che stava operando per una deformazione toracica e che era andato in fibrillazione ventricolare, applicando direttamente sul cuore del giovane paziente due elettrodi e defibrillandolo. Nove anni dopo resuscitò un medico di 65 anni colpito da un infarto complicato da fibrillazione ventricolare, praticandogli una toracotomia d’urgenza ed erogando la scarica elettrica del defibrillatore direttamente sul cuore. Pubblicò il caso su JAMA affermando (era il 1956): “This one experience indicates that resuscitation from a fatal heart attack is not impossible and might be applied to those who die in the hospital and perhaps to those who die outside the hospital”.
Nei cinque anni successivi si registrarono 20 casi di trattamento dell’arresto cardiaco (come complicazione dell’infarto del miocardio) con la toracotomia d’urgenza, il massaggio cardiaco e la defibrillazione a torace aperto. Nel 1961, ad Edimburgo, un’altro medico fu salvato da Desmond G. Julian (1926) con la tecnica di Beck. Il collega/paziente si era formato presso il Johns Hopkins Hospital dove Kouwenhoven, Jude e Knickerbocker avevano sviluppato il moderno massaggio cardiaco a torace chiuso. Poco tempo dopo, convalescente, tornò in ospedale per far leggere a Julian e colleghi l’articolo in cui si descriveva la moderna rianimazione cardio-polmonare.
Il passaggio dalla defibrillazione a torace aperto a quella transtoracica fu difficile e coinvolse ricercatori sia nel blocco sovietico che nel mondo occidentale. La svolta si ebbe grazie alle pressanti richieste delle società elettriche e telefoniche Usa che richiedevano un trattamento salvavita per i loro impiegati a rischio di morte per elettrocuzione. I primi defibrillatori a corrente alternata per uso umano furono realizzati, indipendentemente l’uno dall’altro, da Kouwenhoven e Zoll. Nel 1956 Zoll e collaboratori eseguirono la prima defibrillazione cardiaca transtoracica in un uomo. Il passo finale fu compiuto da Bernard Lown e dall’ingegnere Barouh Berkovitz che realizzarono il defibrillatore transtoracico a corrente continua.
La terza premessa tecnologica alla CCU fu la realizzazione dei sistemi di monitoraggio cardiaco. Himmelstein e Scheiner scrissero nel 1952 un articolo in cui descrivevano l’uso del “Cardiotachoscope” in sala operatoria. Il monitor da loro realizzato possedeva le caratteristiche fondamentali di un monitor cardiaco: un tubo catodico per la visualizzazione continua di un ECG, gli allarmi per i limiti di frequenza ed il collegamento ad un elettrocardiografo. Questo monitor non venne mai commercializzato ma sicuramente influenzò i successivi sviluppi tecnologici. L’Electrodyne giocò un ruolo fondamentale realizzando il modello PM-65 dedicato all’uso al di fuori delle sale operatorie. Nel 1958 Electrodyne creò un nuovo modello il “Pacemaker-Alarm-Monitor” PMS-5 che divenne famoso perché fu adottato in alcune delle prime unità coronariche.
Dalla prima unità coronarica al primo defibrillatore impiantabile

Negli Usa fece scalpore, innescando furibonde polemiche, la morte improvvisa di Clarke Gable. L’attore cinquantanovenne fu ricoverato nel novembre del 1961 per un infarto miocardico acuto in ospedale. Il decorso fu del tutto tranquillo e l’attore godette della migliore assistenza “vecchia maniera” fino alla fatale giornata quando Gable morì improvvisamente nel suo letto d’ospedale.
Solo un mese prima erano stati pubblicati, quasi contemporaneamente, due lavori che illustravano il concetto dell’unità coronarica: il primo scritto da Morris Wilburne dal titolo “The Coronary Care Unit: A New Approach to Treatment of Acute Coronary Occlusion”, che ne descriveva magistralmente l’organizzazione (2); l’altro a firma di Desmond Julian pubblicato dal Lancet il 14 ottobre 1961, dal titolo”Treatment of Cardiac Arrest in Acute Myocardial Ischaemia and Infarction” (3). Julian per poter realizzare il suo progetto dovette lasciare Edimburgo alla volta di Sidney dove fu accolto entusiasticamente e organizzò la prima unità coronarica australiana.
Il 20 maggio 1962, a Kansans City, Huges Day aprì la prima unità coronarica e già nel mese novembre descrisse la pionieristica esperienza all’Interim Clinical Meeting of the American College of Chest Phisichans. Il discorso di Day convinse il cardiologo Eliot Corday che sarebbe diventato il suo principale alleato nel promuovere le CCU negli USA. Nel 1965, Corday, divenuto presidente dell’American College of Cardiology, usò tutta la sua influenza politica per affermare il modello dell’unità coronarica.
La diffusione delle CCU negli Usa fu esplosiva e già nel 1966 se ne contavano più di duecento.
La infarct battle conseguiva la sua prima significativa vittoria realizzando uno straordinario connubio tra progresso tecnologico-scientifico e avanzamento morale e civile, come si verificò anche nel caso della nascita del defibrillatore automatico impiantabile. Anzi, si può affermare che, a determinare la nascita del defibrillatore, la spinta morale fu determinante e precedette l’aspetto tecnologico.

Michel Mirowski, ebreo polacco nato a Varsavia nel 1924 (in realtà si chiamava Mordechai Frydman), si laureò a Lione nel 1953 scrivendo un tesi sulla commissurotomia mitralica. Nel 1954 iniziò il suo tirocinio medico presso il Tel Hashomer Hospital, a Tel Aviv, dove conobbe Harry Heller, primario di Medicina, che divenne il suo Maestro nonché amico. Ebbe una formazione specialistica internazionale frequentando dal 1954 al 1956 il centro cardiologico di Demetrio Sodi Pallares a Città del Messico e nei due anni successi fu a Baltimora per un internato presso Helen Taussig, esperta mondiale nel campo delle cardiopatie congenite. Dal 1963, tornato ad Israele, esercitò la professione medica in un piccolo ospedale. Nel 1966 la sua vita fu sconvolta dalla morte, preceduta da ripetute crisi di tachicardia ventricolare, del suo mentore e amico Harry Heller. Quando, nel 1968, fu chiamato a dirigere la nascente unità coronarica del Mount Sinai Hospital a Baltimora negli Usa, Mirowski era già fermamente intenzionato a realizzare una unità coronarica miniaturizzata totalmente impiantabile in grado di defibrillare in completa autonomia per salvare la vita a quelle persone in condizioni simili a quelle del suo amico. Il Mount Sinai Hospital, parte della formidabile Johns Hopkins Medical School, consentì a Mirowski di conciliare la clinica con il lavoro di ricerca, collaborando con il Morton Mower e colleghi con i quali scrisse lo storico articolo “An approach to prevention of sudden coronary death” pubblicato sugli Archives of Internal Medicine nel 1970 (4).
In realtà Mirowski era stato preceduto dal collega J. C. Schuder che aveva già realizzato un defibrillatore automatico totalmente impiantabile (5). Presso il Department of Surgery della University of Missouri, Schuder proseguì importantissimi studi sperimentali sulle forme d’onda di defibrillazione. L’onda bifasica troncata (e il relativo circuito di Schuder) è adottato in tutti i defibrillatori impiantabili.
Un terzo team, formato da Leo Rubin (medico) e Peter Hudson (ingegnere), perseguì negli stessi anni l’idea lavorando nei laboratori Us Army a Fort Monmouth e conducendo gli esperimenti sui cani presso il Newark Beth Israel Medical Centre.
Come tuttavia Schuder stesso scrisse, la battaglia per convincere la comunità medica fu combattuta da Mirowski: “Mirowski was to spend the next 10 years of his life in a persistent, and often lonely campaign, to convince skeptical physicians and manufacturers of the virtues of the automatic implantable defibrillator and that it should be evaluated in human patients”. Mirowski poté contare sulla stima del Dr. Arthur Moss che sarebbe divenuto famoso come “father of the MADIT trials”.
A questo punto dobbiamo chiamare in causa i due protagonisti che furono determinati per il successo della “magnifica ossessione” di Mirowski. Ricordiamo che nel 1970 i pacemaker erano ancora impiantati chirurgicamente ed erano alimentati con le pile Mallory al mercurio e che Earl Bakken, pur interessato al defibrillatore automatico, dovette rinunciarvi per la difficoltà del progetto.
Bene i nostri eroi sono “Little dog” e il Dr. Marlin Stephen “Doc” Heilman.
“Little dog” contribuì nel 1975 a far accettare l’idea del defibrillatore impiantabile dalla comunità cardiologica statunitense. Il gruppo di Mirowski aveva realizzato un prototipo per l’uso nell’animale da esperimento. Per mostrare lo stato di avanzamento del loro lavoro, realizzarono un filmato in cui si vedeva un piccolo cane “being put into fibrillation and collapsing unconscious, then standing up and wagging its tail after the defibrillator had fired and terminated the VF”. Quando dalla platea medica fu chiesto se avessero usato il metodo pavloviano per addestrare il cagnolino a stramazzare a terra e poi a saltar su, i nostri non si persero d’animo e ripeterono l’esperimento riprendendo contemporaneamente il cane e la traccia ECG. Questo nuovo film convinse molti medici della serietà del lavoro di Mirowski e Mower.
“Little dog” aveva infranto la barriera di ostilità e scetticismo che si opponeva alla rivoluzionaria idea di combattere la morte improvvisa con un defibrillatore inserito nel corpo umano.
Dalla sperimentazione animale alla pratica clinica
Marlin Stephen “Doc” Heilman (1933) rappresentò “l’uomo del destino” nell’avventurosa impresa del defibrillatore automatico impiantabile, trasformando un progetto di laboratorio in una realtà industriale d’avanguardia. “Doc” Heilman è un medico inventore che ha all’attivo diverse innovazioni in campo biomedico come il defibrillatore indossabile LifeVest®. Nel 1964 fondò la Medrad (acronimo di Medical research and development) e con soluzioni innovative conquistò una posizione dominante nel campo degli iniettori angiografici.
L’incontro fatidico si ebbe nel 1972 a Singapore, in occasione di un congresso medico, quando Mirowski durante una colazione di lavoro descrisse a “Doc” Heilman il suo progetto. Tanto bastò per convincere Heilman ad impegnare Medrad nella costruzione di defibrillatore automatico. La Medrad pur affrontando il progetto con soluzioni innovative (furono depositati oltre 50 brevetti), ne perseguì l’industrializzazione con i criteri del “high-quality manufacturing”. Il processo costò milioni di dollari e furono assunti ad hoc tecnici altamente qualificati come gli ingegneri specialisti nel controllo di qualità provenienti dalla Arco Medical di Pittsburg che produceva i pacemaker con pile atomiche. Per lo sviluppo di una batteria adeguata, la Medrad si rivolse alla Honeywell che a tal fine perfezionò la pila al litio-vanadio pentossido inventata da scienziati della Nasa. Inoltre la Medrad si rivolse all’Applied Physics Laboratory della Johns Hopkins University per la revisione del progetto.
Tutto il processo si svolse sotto il controllo della FDA attraverso la mediazione della sussidiaria Intec, fondata dalla Medrad nel 1979 per gestire i rapporti con l’ente federale.
Lo sviluppo preclinico, compresi i test sugli animali, si protrasse dal 1973 al 1979 quando la Intec ritenne di poter sottoporre all’Institutional Review Board della Johns Hopkins University la richiesta di un test nell’uomo. Grazie all’estremo rigore del del lavoro svolto (“We will be more Catholic than the Pope”, affermò Heilman), il 4 febbraio 1980 il grande sogno di Mirowski poté realizzarsi in una sala operatoria del Johns Hopkins Hospital di Baltimora. Il cardiochirurgo Levi Watkins, assistito dal cardiologo Philip Reid, impiantò il primo defibrillatore automatico della storia ad una donna di 57 anni che era sopravvissuta ad un arresto cardiaco dopo un infarto del miocardio. Una volta posizionati i cateteri e collegati al generatore d’impulsi, il team operatorio indusse la fibrillazione ventricolare e attese che il defibrillatore riconoscesse l’aritmia… dopo 20 secondi prepararono il defibrillatore esterno e dopo 35 secondi (“which seemed like 35 hours”, commentò uno dei presenti in sala) applicarono le piastre del defibrillatore esterno sul torace della paziente. Allo scoccare del quarantesimo secondo, appena prima che fosse erogato lo shock esterno, il defibrillatore liberò la scarica elettrica ripristinando il normale battito cardiaco. Pochi giorni dopo un decorso clinico regolare la paziente poté lasciare l’ospedale e tornare a casa.
I cateteri del primo defibrillatore automatico impiantabile derivavano direttamente da quelli sviluppati per i test nei cani: l’anodo in titanio flottante in atrio ed il catodo a coppa applicato in corrispondenza dell’apice cardiaco. L’elettrodo a coppa fu usato solo una volta e sostituto da una piastra/elettrodo, come pure fu immediatamente modificato l’algoritmo di sensing per accorciare il tempo di riconoscimento.
Tra il 1980 e il 1982 furono impiantati 57 defibrillatori impiantabili di prima generazione. A partire dal 1982 fu disponibile il defibrillatore di seconda generazione AIDB-AID BR) e il numero degli impianti, sempre con l’autorizzazione dalla FDA, crebbe rapidamente fino al 1985 quando cessò la fase investigativa e l’agenzia federale ne autorizzò definitivamente l’uso clinico. Nello stesso anno la prima fase del defibrillatore si chiuse con l’acquisto della Intec e dei relativi brevetti da parte della Ely Lilly per la sussidiaria CPI. Fino al 1986 tutti i defibrillatori impiantabili erano costituita da componenti di discreti che richiedevano oltre 200 ore di lavoro in cui tutti i componenti (resistori, capacitatori e chip) erano saldati a mano. Il passaggio di consegne comportò il trasferimento delle competenze tecniche dalla Medrad alla CPI, che a sua volta si impegnò nella creazione di una nuova linea di produzione. Nel primo defibrillatore CPI (Ventak AICD-1986) fecero la loro apparizione i circuiti ibridi. Sempre nel 1986, a dicembre, Almassi e Troup effettuarono il primo impianto senza toracotomia.
Michel Mirowski riuscì a vedere compiuta la sua idea prima che nel 1990 un mieloma lo costringesse arrendersi per la prima e ultima volta nella sua avventurosa vita. Sono la parole di “Doc” Heilman che lo descrivono nel migliore dei modi: “He was intense. … His dedication to the project particularly impressed me … I sensed in him a deep intelligence and a dedication that stood out”.
Achille Giardina
AO Giuseppe Brotzu
Presidio Ospedaliero San Michele, Cagliari
Bibliografia
1. Braunwald E. Evolution of the management of acute myocardial infarction: a 20th century saga. Lancet 1998; 352: 1771-4. [PubMed]
2. Wilburne M. The coronary care unit: a new approach to treatment of acute coronary occlusion [Abstract]. Circulation 1961; 24: 1071.
3. Desmond Julian. Treatment of Cardiac Arrest in Acute Myocardial Ischaemia and Infarction. Lancet 1961, 14 ottobre.
4. Mirowski M, Mower MM, Staewen WS, Tabatznik B, Mendeloff AI. Standby automatic defibrillator. An approach to prevention of sudden coronary death. Arch Intern Med 1970; 126: 158-61.
5. Schuder IC Stoeckle H, Gold IH, et al. Experimental ventricular defibrillation with an automatic andcompletely implanted system. Trans Am Soc Artif Intern Organs 1970; 16: 207-12.
6. Jeffrey K. Machines in Our Hearts. The Cardiac Pacemaker, the Implantable Defibrillator, and American Health Care. Johns Hopkins University Press, 2001.