Pacemaker bicamerale: un’intramontabile terapia per la maggior parte delle bradiaritmie

A cura di Pietro Palmisano, Azienda Ospedaliera “Card. G. Panico”, Tricase (Lecce) e di Renato Pietro Ricci, Centro CardioAritmologico, Roma
Dopo la sua introduzione in clinica, avvenuta nel 1958 ad opera di Ake Senninge e Rune Elmqvist, (1) il primo “passo evolutivo” del pacemaker impiantabile fu quello di riuscire a mantenere il fisiologico sincronismo atrio-ventricolare. Nacque così nel 1976 il primo pacemaker bicamerale, in grado di garantire un “pacing fisiologico” atrio-guidato.I primi dispositivi bicamerali erano semplicemente in grado di sincronizzare la stimolazione ventricolare sul sensing atriale, ma senza sensing in ventricolo (modalità VAT); altri stimolavano in maniera sequenziale atrio e ventricolo ma senza sensing in atrio (modalità DVI). Il pacemaker bicamerale, così come lo conosciamo oggi, con due elettrocateteri transvenosi posizionati in atrio e ventricolo destro, in grado di garantire una stimolazione DDD con intervallo atrio-ventricolare programmabile, fece la sua comparsa alla fine degli anni 70. La sua definitiva introduzione nella pratica clinica e il suo utilizzo su larga scala furono l’effetto dei risultati dei primi grandi studi randomizzati volti ad indagare i benefici della stimolazione atrio-ventricolare fisiologica. Il Pacemaker Selection in the Elderly study (2), pubblicato sul New England Journal of Medicine alla fine degli anni 90,arruolò sia pazienti con blocco atrio-ventricolare che con malattia del nodo del seno. Questo studio non dimostrò una significativa superiorità della stimolazione DDD rispetto alla stimolazione VVI sull’end-point combinato di morte, stroke, scompenso cardiaco e fibrillazione atriale, ma la stimolazione fisiologica si associava ad una migliore capacità di esercizio, qualità di vita e ad un minor rischio di sviluppare la “sindrome da pacemaker”.

Gli studi che seguirono negli anni successivi confermarono sostanzialmente questi risultati. Lo studio MOST (3) che arruolò solo pazienti con malattia del nodo del seno ha dimostrato che la stimolazione bicamerale riduce l’incidenza di fibrillazione atriale rispetto a quella VVI. Da questo studio emerge per la prima volta il concetto che una elevata percentuale di stimolazione ventricolare si associa a effetti deleteri sull’incidenza di fibrillazione atriale e scompenso cardiaco. Alla luce di tali evidenzeil pacemaker bicamerale è ritenuto il device di scelta nei pazienti in ritmo sinusale con bradiaritmie sintomatiche.

Più elettrocateteri significa però maggiore complessità e più complicanze. Su questo principio si basava l’idea che nei pazienti con disfunzione sinusale isolata potesse bastare un pacemaker con un singolo catetere posizionato in atrio. Il più importante studio randomizzato che ha confrontato il pacemaker monocamerale AAI con il pacemaker bicamerale nei pazienti con disfunzione sinusale isolata è stato il DANPACE (4). Questo studio fallì nell’obiettivo di dimostrare la superiorità del primo rispetto al secondo: viceversa nel gruppo AAI era significativamente più elevata l’incidenza di fibrillazione atriale nel follow-up e l’incidenza di reinterventi, prevalentemente upgrading del pacemaker da monocamerale a bicamerale per sviluppo de novo di blocco atrio-ventricolare. I disturbi di eccito-conduzione sono in genere evolutivi e nei pazienti con iniziale disfunzione sinusale isolata il rischio di sviluppare blocco atrio-ventricolare nel tempo è dell’1-6% all’anno (5). Queste evidenze rafforzarono il ruolo del pacemaker bicamerale nel trattamento dei pazienti con disfunzione sinusale.
Nel corso degli ultimi decenni lo sviluppo tecnologico ha reso sempre più flessibile, sicura ed affidabile la stimolazione bicamerale grazie all’introduzione degli automatismi e di algoritmi sempre più sofisticati. Tra questi ultimi, la combinazione di un algoritmo per la riduzione della stimolazione ventricolare non necessaria e l’erogazione di terapie antitachicardiche in atrio all’insorgenza di episodi di tachiaritmia ha dimostrato nello studio Minerva di essere efficace nella riduzione della progressione della fibrillazione atriale verso la forma permanente (6).
Il problema della stimolazione fisiologica atrio-ventricolare è tornato alla ribalta con lo sviluppo dei pacemaker leadless, indubbiamente il futuro della stimolazione cardiaca. Quando sono stati introdotti, questi pacemaker miniaturizzati, completamente intracardiaci, erano in grado di erogare solo una stimolazione VVI, ma oggi, grazie a recenti progressi ingegneristici, sono in grado di garantire una stimolazione VDD. Rimane ancora il limite della stimolazione atriale, che ad oggi può essere ottenuta solo con un elettrocatetere transvenoso. Il pacemaker bicamerale rimane quindi ancora oggi il cardine del trattamento dei pazienti con disfunzione sinusale che costituiscono una quota importante dei pazienti bradiaritmici.
Bibliografia
1. Larsson B, Elmqvist H, Rydén L, Schüller H. Lessons from the first patient with an implanted pacemaker: 1958-2001. Pacing ClinElectrophysiol. 2003;26:114-24.
2. Lamas GA, Orav EJ, Stambler BS, et al. Quality of life and clinical outcomes in elderly patients treated with ventricular pacing as compared with dual-chamber pacing. Pacemaker Selection in the Elderly Investigators. N Engl J Med. 1998;338:1097-104.
3. Lamas GA, Lee KL, Sweeney MO, et al. Ventricular pacing or dual-chamber pacing for sinus-node dysfunction. N Engl J Med. 2002 Jun 13;346(24):1854-62.
4. Nielsen JC, Thomsen PE, Højberg S, et al., DANPACE Investigators. A comparison of single-lead atrial pacing with dual-chamber pacing in sick sinus syndrome. EurHeart J 2011; 32:686–696.
5. Palmisano P, Ziacchi M, Ammendola E, et al. Long-term progression of rhythm and conduction disturbances in pacemaker recipients: findings from the Pacemaker Expert Programming study. J Cardiovasc Med (Hagerstown). 2018;19:357-365.
6. Boriani G, Tukkie R, Manolis AS, et al. Atrial antitachycardia pacing and managed ventricular pacing in bradycardia patients with paroxysmal or persistent atrial tachyarrhythmias: the MINERVA randomized multicentre international trial. Eur Heart J. 2014;35:2352-62.