Wilson Greatbatch e l’invenzione del pacemaker impiantabile
Conoscere le varie tappe della storia della Cardiologia ci induce a riflettere su cosa sarebbe oggi la nostra professione senza il contributo delle grandi menti del passato e ci fa pensare al grande lavoro che si cela dietro ogni nostro gesto quotidiano aiutandoci a vivere con maggiore consapevolezza e gratitudine il presente.
I primi pacemaker erano scarsamente affidabili, soluzioni temporanee per una ristretta cerchia di pazienti, i quali, in alcuni casi, si offrivano alla sperimentazione, come nel caso del primo impianto di pacemaker nel 1958 a Stoccolma.
Il problema principale dei pacemaker negli anni Sessanta era la precarietà della fonte di energia. Sì, c’erano anche altre difficoltà: circuiti, involucro e cateteri primitivi. Il vero tallone d’Achille dei pacemaker, tuttavia, erano le batterie.
Si tentò la strada delle pile termoelettriche al plutonio (le stesse impiegate nel campo dell’esplorazione spaziale, vedi ad esempio la sonda Cassini), essendo queste l’unica fonte affidabile di energia.
In questo incerto scenario, il nostro eroe – Wilson Greatbatch, l’ingegnere inventore del pacemaker impiantabile (06.09.1919-27.09.2011) – intuì che una batteria brevettata da Schneider e Moserz possedeva le caratteristiche fondamentali per poter arrivare alla realizzazione di quella ideale per i pacemaker: era compatta, leggera, affidabile e incorruttibile.
Possiamo ben dire che Greatbatch è stato il lungimirante padre adottivo della batteria al litio-iodio.
Fu protagonista dell’innovazione tecnologica nel campo dei pacemaker. Il suo primo contributo al mondo della medicina fu l’invenzione del circuito stimolatore transistorizzato.
Negli anni Cinquanta lavorava nella fattoria sperimentale della Cornell University dove costruiva monitor cardiaci per la ricerca veterinaria. Un giorno, per un fortunato errore, inserì un resistore di impedenza minore nel circuito che iniziò immediatamente ad emettere ciclicamente un impulso elettrico.
Greatbatch capì di aver ideato il circuito principale di un pacemaker. Di lì a poco si licenziò dalla Cornell University, affidò alla cara moglie i risparmi e la sopravvivenza della famiglia (avevano tre figli) e si dedicò alla costruzione di un pacemaker totalmente impiantabile nel garage di casa, attrezzato alla maniera di un laboratorio di elettronica.
I chirurghi William Chardack e Andrew Gage capirono l’eccezionale importanza della nuova tecnologia e realizzarono una proficua e fulminea collaborazione con il nostro ingegnere. Nel 1958 realizzarono il primo impianto sperimentale in un cane e nel 1959 rimediarono alla mancanza di un catetere epicardico sufficientemente affidabile, adottando quello Hunter-Roth Medtronic. Quest’ultimo era già stato utilizzato con successo per il primo impianto umano del pacemaker definitivo esterno Medtronic 5800.
Nel 1960 Chardack impiantò con successo il pacemaker costruito dal nostro geniale ingegnere, in un uomo di 77 anni affetto da blocco atrioventricolare totale, per via toracotomica. Successivamente, il chirurgo modificò il catetere Hunter-Roth realizzando l’avvolgimento a spirale del conduttore. Impiantato all’inizio del 1961, fu il primo catetere da pacemaker veramente affidabile.
Wilson Greatbatch collaborò con la Medtronic fino al 1970, quando le loro strade si separarono per via delle divergenze riguardanti le loro scelte strategiche nel campo delle batterie.

Le pile zinco-mercurio, le più usate in quel periodo, erano considerate da Greatbatch il principale problema dei pacemaker. Le batterie ricaricabili al nichel-cadmio erano del tutto inadeguate e la batteria Ruben-Mallory zinco-mercurio (sviluppata durante il secondo conflitto mondiale per alimentare i walkie-talkie) rendeva necessario che i pacemaker fossero costruiti in resina epossidica. La batteria zinco mercurio non può essere chiusa in un contenitore ermetico e la resina epossidica consente la diffusione dell’idrogeno sviluppato dalla batteria. Anche il vapor acqueo purtroppo è un gas e si dovettero realizzare componenti elettronici in grado di operare in acqua distillata. Le difficoltà non finivano qua, poiché alla temperatura corporea queste pile si scaricavano molto più velocemente del previsto.
Il grande merito di Greatbatch fu quello di capire le potenzialità di una batteria che era impiegata unicamente nelle spolette di prossimità delle bombe, “addomesticandola” e trasformandola da un potente ma effimero Mister Hyde in un docile affidabile e longevo Dr Jekill.
La pila al litio-iodio pur disponendo di minore energia rispetto alla pila al mercurio, grazie al lento declino del voltaggio, rende disponibile una maggiore quantità energia. Inoltre, non liberando gas, ha reso possibile sigillare ermeticamente i pacemaker.

La Wilson Greatbatch, fondata nel 1970, realizzò la prima batteria al litio-iodio in grado di ottenere un vero successo commerciale: il modello 702E Wilson Greatbatch, Ltd, Clarence (NY, USA).
Nel 1973 Antonioli, Baggioni, Consiglio e collaboratori impiantarono per la prima volta al mondo un pacemaker asincrono alimentato da una batteria al litio. La LEM che aveva ottenuto dall’ingegnere Greatbatch dei prototipi delle pile al litio-iodio, lavorando in autonomia, sviluppò i circuiti ed eseguì i test di laboratorio.
L’ingegnere statunitense aveva messo la nuova batteria a disposizione della Medtronic negli USA e della LEM in Italia, della svedese Elema e della francese ELA.
Uno dei primi stimolatori cardiaci equipaggiati con le pile al litio-iodio fu impiantato in Australia. Il paziente fu rintracciato dopo un ventennio nell’outback, dove conduceva la vita lontano dalla civiltà, con il pacemaker perfettamente funzionante e nel 1999 fu sottoposto alla sostituzione del pacemaker. Sempre in Australia, un medico amico di Greatbatch sostituì il proprio pacemaker dopo 21 anni.
Dunque, i primi pacemaker duravano molto più del previsto.
Un altro grande merito del nostro protagonista fu quello di riuscire a far comprendere alla nascente comunità di medici specializzati in elettrostimolazione cardiaca i pregi delle pile al litio-iodio rispetto a quelle al mercurio.
Come Greatbatch scrisse: “The pacemaker battery is no longer a significant clinical problem”.
Nel 1978 il 95% dei pacemaker erano equipaggiati con le batterie al litio-iodio: una rivoluzione industriale e uno dei più grandi successi della moderna Cardiologia.
Achille Giardina
AO Giuseppe Brotzu
Presidio Ospedaliero San Michele, Cagliari
Bibliografia
1. Wilson Greatbach. Engineering and technology history wiki.
2. Greatbatch W, Holmes CF. The lithium/iodine battery: a historical perspective. Pacing and Clinical Electrophysiology 1992; 15: 2034-6.
3. Jeffrey K. Machines in our hearts. The cardiac pacemaker, the implantable defibrillator, and American health care. Baltimora: John Hopkins University Press, 2001.