Il defibrillatore sottocutaneo nelle cardiopatie aritmiche. Il meeting di Padova

Mettere insieme gli elettrofisiologi che si occupano degli impianti di defibrillatore sottocutaneo e i cardiologi clinici che hanno quotidianamente a che fare con i pazienti affetti da cardiomiopatie aritmiche caratterizzate da un rischio elevato di morte improvvisa. Era questo l’obiettivo del corso di aggiornamento “Il defibrillatore sottocutaneo nelle cardiopatie aritmiche”, tenutosi a Padova il 1 giugno 2019, a cui hanno preso parte alcuni dei maggiori esperti a livello nazionale e internazionale.
“Solo in questo modo – ha spiegato Federico Migliore, cardiologo dell’Azienda Ospedaliera di Padova – Università di Padova e responsabile scientifico (insieme a Domenico Corrado ed Emanuele Bertaglia) dell’evento – è possibile eliminare quella barriera culturale che può determinare una potenziale riduzione degli impianti dei sottocutanei nei nostri pazienti affetti da cardiopatie potenzialmente a rischio di morte improvvisa”.
Infatti, come emerso dai risultati della survey AIAC “S-ICD: Why not?” (poi confermati anche dalle evidenze real world), nonostante la maggior parte dei pazienti (88%) sottoposti a impianto di ICD transvenoso siano potenzialmente candidabili all’impianto di un S-ICD, spesso i medici tendono a optare per l’impianto di un device tradizionale. “Molti dei pazienti che oggi giorno ricevono un defibrillatore bicamerale non sarebbero realmente indicate per questo – aveva commentato Gianluca Botto, responsabile del servizio di Elettrofisiologia dell’Ospedale di Rho (Milano), in seguito alla pubblicazione dei risultati – e quindi potrebbero tranquillamente ricevere un sottocutaneo, con i vantaggi che questo comporta, soprattutto per i pazienti giovani”.
È quindi fondamentale che le varie professionalità coinvolte in questa scelta siano aggiornate sulle più recenti evidenze scientifiche relative agli avanzamenti tecnologici e all’impiego nella pratica clinica del defibrillatore sottocutaneo. A partire proprio dai driver che guidano la decisione di impiantare questo device. Ne ha parlato, al meeting di Padova, Maria Grazia Bongiorni, responsabile dell’UO di Cardiologia 2 dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, che ha sottolineato come l’S-ICD permetta nella quasi totalità dei casi di evitare le complicanze, come le infezioni e le rotture o i malfunzionamenti degli elettrocateteri, associate agli impianti transvenosi.
“In poco più di 5 anni dalla pubblicazione dello studio che ne ha validato l’efficacia – ha commentato Antonio D’Onofrio dell’Ospedale Monaldi di Napoli, incaricato di presentare le evidenze relative alla selezione dei pazienti candidabili all’impianto di un S-ICD – questo device è entrato nelle linee guida internazionali”. Ad esempio, quelle dell’American Heart Association (AHA), dell’American College of Cardiology (ACC) e dell’Heart Rhythm Society (HRS), che hanno posto il defibrillatore sottocutaneo in classe IIa per i pazienti che non hanno necessità di pacing e in classe Ib per i soggetti ad alto rischio di infezione – come quelli con diabete o insufficienza renale – o con problematiche di accessi vascolare.
Altri interventi hanno poi trattato tematiche più tecniche, come quello di Pietro Francia dell’Azienda ospedaliera Sant’Andrea di Roma e quello dello stesso Migliore. In particolare quest’ultimo ha parlato dell’evoluzione delle tecniche di impianto dell’S-ICD, concludendo che “mettendo insieme le migliori tecnologie con le migliori tecniche i dati diventano estremamente positivi, sia per quanto riguarda la capacità del device di interrompere aritmie maligne, in acuto e al follow up, sia in termini di riduzione degli shock inappropariati”.
Dopo altri interventi e sessioni “Esperti a confronto”, caratterizzate da discussioni collettive sui temi trattati, si è tenuta la lettura finale di Reinoud Knops dell’Academic Medical Center di Amsterdam, il quale ha delineato le prospettive future del defibrillatore sottocutaneo, in termini sia di indicazioni cliniche che di evoluzioni tecnologiche. “Dalla sua adozione a oggi – ha commentato il cardiologo olandese – non ci sono stati molti cambiamenti da un punto di vista tecnologico, quindi credo che ci siano molte opzioni di miglioramento. Comunque siamo già fortunati con quello che abbiamo”.
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