IL PAZIENTE CON FA

La Fibrillazione Atriale (FA) è il disturbo cronico del ritmo cardiaco più frequente. Interessa l’1-2% della popolazione e le probabilità di sviluppare tale condizione aumentano con l’avanzare dell’età.
La FA può essere gestita e trattata adeguatamente con la crioablazione, isolando elettricamente le vene polmonari.

La Fibrillazione Atriale (FA) è una patologia che si verifica in presenza di un ritmo cardiaco anormale dovuto al tremolio o fibrillazione delle due camere superiori del cuore, atrio destro e sinistro. In caso di FA, la propagazione irregolare degli impulsi elettrici dagli atri si traduce in un’attivazione atriale scoordinata e, conseguentemente, in una contrazione atriale inefficace. Questo si manifesta in un ritmo o frequenza irregolare portando a una serie di sintomi addizionali e potenziali complicanze cliniche per il soggetto.

La Fibrillazione Atriale affligge circa 600.000 individui in Italia e si stima che i numeri siano in continua crescita.

Le cause che sottendono la Fibrillazione Atriale sono molteplici: età (il rischio aumenta con l’invecchiamento; dopo i 40 anni un individuo su quattro può presentare un episodio aritmico), malattie cardiache (infarto pregresso, insufficienza cardiaca, malattia valvolare, ecc.), ipertensione arteriosa, malattie extra cardiache (polmonari, tiroidee), abuso di alcol, occasionalmente storia familiare e in un numero ridotto di casi (1:10) l’aritmia si manifesta senza una causa apparente e viene pertanto definita come “isolata”.

Le caratteristiche della Fibrillazione Atriale variano da individuo a individuo. Alcune persone non manifestano alcun sintomo, spesso anche per anni, mentre per altri i sintomi cambiano di giorno in giorno, ragione per cui il trattamento congiunto dei sintomi e della fibrillazione atriale si rivela tutt’altro che semplice.

I principali sintomi correlati alla Fibrillazione Atriale sono: palpitazioni (sensazione di battito accelerato ed irregolare), debolezza o incapacità di eseguire la normale attività fisica, affanno; sensazione di “testa vuota”, sensazione di mancamento, fino allo svenimento.

In alcuni soggetti i disturbi possono essere molto lievi o addirittura assenti e l’aritmia viene scoperta occasionalmente durante una visita medica eseguita per altri motivi. In presenza di sintomi o segni suggestivi della presenza di una Fibrillazione Atriale è opportuno che il medico di famiglia invii il paziente a consulto presso uno specialista aritmologo; nei casi di maggiore gravità è invece necessario un rapido accesso al Pronto Soccorso.

Pur se la prevalenza della FA cresce in modo proporzionale all’età, a volte l’aritmia interessa anche giovani e va scoperta il prima possibile perché grazie ai trattamenti più recenti si possono combattere i sintomi, qualora presenti, e soprattutto le complicanze ad essa correlata.

La complicanza più temuta correlata alla presenza di FA, sintomatica o asintomatica che sia, è l’ictus cerebrale: gli studi scientifici dicono che la presenza di FA può aumentare fino a cinque volte il rischio di sviluppare una complicanza tromboembolica maggiore [1]. La FA è inoltre responsabile di un maggior rischio di sviluppare scompenso cardiaco [2] ed è un fattore predittivo indipendente di tutte le cause di mortalità, sia negli uomini che nelle donne[3].

Alla luce di queste evidenze cliniche le Linee Guida consigliano di sottoporre i pazienti ad un trattamento tempestivo, al fine di migliorare la qualità della vita e aumentarne l’aspettativa [3].  Diverse sono le possibilità di gestione e cura della Fibrillazione Atriale: sia va dalla terapia farmacologica all’ablazione transcatetere, che mira ad isolare elettricamente le vene polmonari, causa principe dell’aritmia cardiaca.

E’ largamente noto e riconosciuto che l’isolamento delle vene polmonari ha come obiettivo principale la riduzione della sintomatologia correlata alla FA, tuttavia sempre maggiori sono le evidenze cliniche che testimoniano che, a parità di caratteristiche cliniche dei soggetti osservati, l’ablazione transcatetere della Fibrillazione Atriale è in grado di ridurre in modo statisticamente significativo l’incidenza di ictus ischemici e anche la mortalità per tutte le cause[4, 5].

Ad oggi le due forme di energia riconosciute dalle Linee Guida internazionali per eseguire l’ablazione transcatetere sono la radiofrequenza (RF) e la crioablazione con criopallone, che nel 2019 ha compiuto 10 anni d’impiego.

L’ablazione transcatetere a RF prevede l’utilizzo del catetere per effettuare delle bruciature che determinano la necrosi cellulare tramite il passaggio di corrente che esce dall’elettrodo del catetere. La crioablazione, invece, utilizza il freddo per creare la necrosi del tessuto cardiaco malato, pur mantenendo inalterate le altre strutture.

L’obiettivo “termico” della crioablazione è semplice: “deconnettere” elettricamente le vene polmonari, perché le Linee Guida riconoscono in questo approccio il trattamento efficacie dell’aritmia [3]. La strategia di cura può essere usata in casi specifici di Fibrillazione Atriale, nelle forme parossistiche o persistenti, dopo il fallimento di un farmaco antiaritmico o l’intolleranza allo stesso o addirittura come prima opzione terapeutica se lo specialista lo ritiene opportuno e se il paziente è favorevole [3].

In pratica per effettuare una procedura di crioablazione si inserisce una sonda attraverso la vena femorale destra, poi attraverso una puntura del setto interatriale (la parete che separa tra loro gli atri), si arriva all’atrio sinistro. A quel punto si “gonfia” un palloncino in corrispondenza dell’apertura della vena nella cavità atriale e, dopo una verifica con mezzo di contrasto per confermare l’occlusione della vena, si eroga all’interno del pallone il gas, ovvero il protossido d’azoto. L’obiettivo di ogni singola erogazione, che dovrà essere ripetuta per tutte le vene polmonari (solitamente 4), è raggiungere una temperatura di – 40 gradi C° per alterare in modo irreversibile il tessuto cardiaco che si è scelto come target. Il trattamento prevede normalmente un ricovero di 24 ore post procedura e il paziente può riprendere dopo qualche giorno la sua vita normale.

L’efficacia della procedura, la rapidità di esecuzione e la bassa percezione del dolore lato paziente, rendono la procedura di crioablazione un’opzione terapeutica per la stragrande maggioranza dei pazienti indicati ad essere sottoposti ad isolamento delle vene polmonari.

Le più recenti novità provenienti dalla letteratura internazionale attestano che l’isolamento delle vene polmonari mediante criopallone è più efficace rispetto alla terapia antiaritmica per la prevenzione delle recidive di aritmia atriale in pazienti naive, ovvero pazienti che non abbiano avuto precedenti esposizioni terapeutiche ad uno specifico farmaco per il controllo del ritmo (antiaritmico).

Sono infatti ben quattro gli articoli pubblicati che dimostrano il beneficio del trattamento crioablativo come strategia first-line nei pazienti con FA sintomatica parossistica ricorrente  [6-10]

I risultati in ambito First-Line ottenuti con il cryopallone Arctic Front Advance suggeriscono che la crioablazione come terapia di prima scelta sia più efficacie della terapia antiaritmica in pazienti relativamente giovani, naive al trattamento, con fibrillazione atriale parossistica sintomatica ricorrente e un cuore strutturalmente normale, dimostrando un’incidenza inferiore di recidive a 12 mesi e una percentuale di eventi avversi seri paragonabile al trattamento con farmaco antiaritmico, aprendo quindi uno nuovo scenario terapeutico volto alla gestione ottimale dei pazienti affetti di FA.

  1. Wolf et al. Atrial fibrillation as an independent risk factor for stroke: the Framingham Study. Stroke. 1991;22:983-988.
  2. Anter et al. Atrial Fibrillation and Heart Failure. Treatment Considerations for a Dual Epidemic. Circulation. Volume 119, Issue 18, 12 May 2009, Pages 2516-2525
  3. Hindricks et al. 2020 ESC Guidelines for the diagnosis and management of atrial fibrillation developed in collaboration with the European Association of Cardio-Thoracic Surgery (EACTS). European Heart Journal. doi:10.1093/eurheartj/ehaa612
  4. Friberg et al. Catheter ablation for atrial fibrillation is associated with lower incidence of stroke and death: data from Swedish health registries. European Heart Journal (2016) 37, 2478–2487.
  5. Bunch et al. Patients treated with catheter ablation for atrial fibrillation have long-term rates of death, stroke, and dementia similar to patients without atrial fibrillation. J Cardiovasc Electrophysiol. 2011 Aug;22(8):839-45.
  6. Kuniss et al. Cryoballoon ablation vs. antiarrhythmic drugs: first-line therapy for patients with paroxysmal atrial fibrillation. Europace (2021) 00, 1–9. doi:10.1093/europace/euab029
  7. Wazni et al. Cryoballoon Ablation as Initial Therapy for Atrial Fibrillation. N Engl J Med 2021;384:316-24. DOI: 10.1056/NEJMoa2029554
  8. Andrade, J. et al. Cryoablation or Drug Therapy for Initial Treatment of Atrial Fibrillation. N Engl J Med 2021; 384:305-315. DOI: 10.1056/NEJMoa2029980
  9. Moltrasio et al. First-line therapy: insights from a real-world analysis of cryoablation in patients with atrial fibrillation. J Cardiovasc Med. 2021 Aug 1;22(8):618-623. doi: 10.2459/JCM.0000000000001176.

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